Autorità-Autorevolezza-Potere (Forza e Violenza)


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Autorità-Autorevolezza-Potere (Forza e Violenza)


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A mo’ d’introduzione alla luce della Parola di Dio e delle parole di uomini saggi e uomini santi

“Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali, darete ascolto al piccolo come al grande; non temerete alcun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio; le cause troppo difficili per voi le presenterete a me e io le ascolterò” (Dt 1, 17).

“In Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte e gli disse: ‘Chiedimi ciò che io devo concederti’. […] ‘Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?’. Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare. Dio gli disse: ‘Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, ecco faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria come nessun re ebbe mai” (1 Re 3, 5; 9-13).

“Se vedi nella provincia il povero oppresso e il diritto e la giustizia calpestati, non ti meravigliare di questo, poiché sopra un’autorità veglia un’altra superiore e sopra di loro un’altra ancora più alta: …” (Eccl 5, 7).

“Amate la giustizia, voi che governate sulla terra, rettamente pensate del Signore, cercatelo con cuore semplice” (Sap 1, 1).

“Lotta sino alla morte per la verità e il Signore Dio combatterà per te” (Sir 4, 28).

“Il governo del mondo è nelle mani del Signore; egli vi susciterà al momento giusto l’uomo adatto” (Sir 10, 4).

 “… egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7, 29).

“Guai a voi, guide cieche, …” (Mt 23, 16).

“Tutti furono presi da paura e si dicevano l’un l’altro: ‘Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi ed essi se ne vanno?’ “(Lc 4, 36).

“Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie” (Lc 9, 1).

 “… ma Gesù, chiamatili a sé, disse: ‘I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti’ “ (Mt 20, 25-28).

“Gli disse allora Pilato: ‘Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’. Rispose Gesù: ‘Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande’ “ (Gv 19, 10-11).

“Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29).

“’Tutto è lecito!’. Ma non tutto è utile! ‘Tutto è lecito!’. Ma non tutto edifica” (1 Cor 10, 23).

“Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: ‘Il buon pastore offre la vita per le pecore’ (Gv 10, 11). Infatti c’è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo il proprio. […] Questo dice il Signore: ‘Il buon Pastore offre la sua vita per le sue pecore’. Egli consacra a loro la sua persona nell’esercizio dell’autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose: che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente” (San Tommaso, Esposizione su Giovanni).

“Gli uomini non si sono stancati del Cristianesimo, non hanno conosciuto abbastanza Cristianesimo per stancarsene. Gli uomini non hanno consumato fino all’usura la giustizia politica, si sono consumati nell’attenderla” (G. K. Chesterton, Cosa c’è di sbagliato nel mondo).

“L’unica eccezione [all’obbedienza] si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio” (San M. M. Kolbe, Lettere).

Una breve premessa 

            Vista l’accoglienza avuta dalle precedenti riflessioni, continuo con qualche altra riflessione che può aiutare a ripensare al fine di recuperare il vero significato dei vari termini che usiamo. Quindi, semplici spunti di riflessione proposti alla condivisione, senza alcuna pretesa di scientificità. La presente riflessione prende però in esame, diversamente dalle precedenti, primariamente tre termini e due come legati direttamente ai precedenti, questo per il fatto che non sempre, per non dire poche volte, chi svolge il ruolo di autorità nell’ambito del governo (questo è il solo contesto che viene qui preso in considerazione), lo fa con autorevolezza. Ugualmente, anche se generalmente chi ha autorità esercita un qualche potere, che può comprendere o prevedere l’uso della forza, mai sarà possibile ammettere un qualsiasi tipo di violenza. Prendendo atto della non poca confusione nei riguardi di questi termini e del loro correlativo uso in ambito statale ed ecclesiale, conviene più che mai ricordare innanzi tutto il loro significato. Lo faccio partendo dall’etimologia in quanto ci aiuta a partire dal significato originario che si è ‘riconosciuto immediatamente’ ai singoli termini e che è bene non dimenticare.

Qualche utile indizio dall’etimologia

Autorità: da latino auctorĭtasatis (‘legittimità, prestigio’) derivazione di auctororis inteso come ‘promotore, creatore, autore’, derivato da augēre (interprete presso gli antichi Romani, del volere degli dei e il significato di ‘accrescitore’ si spiega col fatto che il sacerdote col suo presagio accresceva la potenza divina che doveva sostenere l’impresa) ‘accrescere’, propriamente parlando ‘colui che fa crescere’. Nell’ambito giuridico, politico e religioso, la posizione di chi è investito di poteri e funzioni di comando, legittimamente acquisiti e/o riconosciuti. In senso più concreto, gli individui stessi preposti a cariche pubbliche implicanti funzioni di comando. Essa è intesa anche come: a) l’azione determinante che la volontà di una persona esercita (per forza propria, per consenso comune, per tradizione, ecc.) sulla volontà e sullo spirito di altre persone; b) la stima, credito di cui un individuo gode (cf Devoto-Oli; Treccani).

Autorevolézza: deriva da autorevole (aggettivo, sec. XIV che deriva sul modello di ‘caritatevole, onorevole’), che a sua volta deriva da autore (auctororis). Quindi l’essere autorevole è la qualità di una persona che ha autorità, per la carica che riveste, per la funzione che esercita, per il prestigio, il credito, la stima di cui gode. Dote che è soprattutto percepita dalle altre persone nel modo in cui qualcuno esercita l’autorità (cf Devoto-Oli; Treccani).

Potére: pŏtēre, in latino classico pŏsse deriva dalla contrazione di potis esse ‘essere capace’, dove l’aggettivo potis-e, corrisponde al sanscrito pàtis ‘lui stesso’. Quindi avere la facoltà, la forza, la capacità, la libertà, oppure i mezzi, il modo, la convenienza di fare qualcosa; avere la possibilità rispetto al giusto, al lecito, alla norma, di agire in un determinato modo (quindi accezione positiva che è possibile esprimere anche come ‘potere legittimo’), in quanto mancano ostacoli sia da parte di elementi materiali o naturali sia da parte della volontà propria o altrui. Nell’ambito del diritto, in senso ampio, qualunque facoltà di compiere azioni giuridicamente rilevanti. Connessi di fatto con potere, risultano essere anche i termini ‘forza’ e ‘violenza’ (quest’ultima sempre espressione di un ‘potere illegittimo’ e quindi illecito ed ingiusto). Con forza s’intende, in generale, qualsiasi causa capace di modificare la forma oppure lo stato di quiete o di moto di un corpo, in ambito del diritto la potestà di coercizione di cui può avvalersi l’autorità competente. Invece, violenza deriva dal latino violentus ‘impetuoso, violento’, deriva latino violāre ‘usar violenza, maltrattare; devastare, profanare’, derivato di vīs ‘forza, violenza’ (cf Devoto-Oli).

L’origine e la giustificazione dell’autorità e del suo potere

            Ovviamente la sola etimologia non è sufficiente a comprendere ed a giustificare i termini dei quali ci stiamo occupando, ma ci ha offerto utili indicazioni proprio per il fatto che manifesta sempre e chiaramente l’intelligere dell’uomo, in quanto animale razionale, e del suo intimo legame con l’esperienza oggettiva del reale. Però, ciò che ci aiuta a scoprire il significato ed il senso proprio innanzi tutto dell’autorità è la presa d’atto che l’uomo è anche animale sociale. In quanto tale, per sua natura ogni uomo ha un bisogno effettivo ed affettivo degli altri. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tante persone per vivere crescere (ognuno di noi non sarebbe qui se non avesse avuto per anni le cure di tante persone…) e raggiungere i nostri obiettivi ed abbiamo allo stesso tempo la necessità di sentirci riconosciuti ed amati dagli altri, affinché possiamo vivere una vita pienamente umana, così come Dio l’ha voluta creandoci (cf Gn 2, 18-24). La socialità comporta però, in seguito al peccato originale (cf Gn 3), che nel nostro vivere insieme agli altri nella libertà che lo stesso Dio ci ha dato e mai ha pensato di toglierci, la concreta possibilità che non vengano rispettati i rispettivi diritti di ogni persona (cf Gn 4, 8). Questo ‘mistero’ della libertà umana, troppo spesso completamente frainteso e stravolto nella sua applicazione nel vivere insieme agli altri! Infatti, la libertà non può essere intesa come mera indipendenza, per il semplice fatto che nessuno può essere libero per conto suo o ritenere al massimo che la sua libertà finisca dove inizia la libertà degli altri. Molti oggi lo credono, ma chi lo pensa pur convinto di essere rispettoso dell’altro, in realtà è un violento ed un egoista che usa l’altro. Come persone libere, cresciamo solo con gli altri e grazie agli altri e la libertà di ciascuno inizia dove inizia anche quella dell’altro, finisce quando essa è menomata o negata: o si è liberi insieme, o nessuno è libero (cf A. Cencini).

Quindi dalla natura relazionale e dalla libertà con e nella quale si attua, l’esigenza, in ogni gruppo umano, piccolo o grande che sia, della figura di una autorità, personale o collegiale, responsabile della salvaguardia dei diritti di ciascun componente del gruppo come anche della realizzazione da parte loro dei rispettivi doveri nei confronti degli altri. Una tale autorità, attraverso la creazione e l’applicazione di norme giuridiche positive di vario genere (strumento imprescindibile per vivere insieme agli altri sono le regole giuridiche), permette la convivenza pacifica tra i diversi membri di un gruppo. In concreto, l’uomo che porta in sé questa esigenza di socialità, con il tempo è portato a formalizzarla per renderla stabile, all’inizio attraverso la tradizione orale (v. consuetudini) e successivamente per iscritto attraverso delle norme positive (v. leggi). Realizzando tutto questo principalmente in due modi: a) prima di tutto positivamente, riconoscendo e promuovendo i diritti e le legittime aspirazioni di ciascuno in ordine alla realizzazione di se stesso insieme con gli altri; b) secondariamente in modo negativo, cioè censurando e perseguendo i comportamenti dei singoli contrari alla dignità di ciascuno e del bene comune. Da qui prende corpo, si organizza e sistematizza nel tempo l’ordinamento giuridico proprio di ogni società (da intendere nel senso di: relazioni umane, rapporti intersoggettivi, che una volta che sono regolati da norme diventano ‘istituti giuridici’ l’insieme dei quali danno vita ad un ordinamento giuridico), in quanto ognuno non solo si aspetta di essere accolto e rispettato dagli altri, ma anche che questi gli riconoscono quanto gli è dovuto per natura: lo ‘ius suum’, principio del diritto naturale e della natura sociale dell’uomo. Quindi, un ordinamento giuridico quale traduzione di un Diritto inteso come ‘res iusta’, e che intende la giustizia come, prima di tutto ed essenzialmente, il riconoscere e rispettare la verità della persona: ciò che essa è. Perciò, un ordinamento giuridico che deve necessariamente coniugare verità, bene e giustizia per conseguire il suo fine immediato: determinazione oggettiva, certa, storicamente contestualizzata di ciò che è esigibile da vari soggetti nelle reciproche relazioni tra loro, nei vari rapporti intersoggettivi, secondo giustizia. Difatti, “… la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene […] la verità ci rende buoni e la bontà è vera” (Benedetto XVI), e la verità del diritto è la giustizia. Solo attraverso la realizzazione di tutto questo, in concreto e non in astratto, si potrà realizzare quel ‘bene comune’ fine di ogni norma e di ogni ordinamento giuridico, in quanto si dà la possibilità effettiva a ciascuno ed a tutti di conseguire e realizzare le finalità essenziali della natura umana. Però senza il riconoscimento e la tutela in una società dei reciproci diritti-doveri dei consociati, non si darà mai vera pace e quindi sarà impossibile quello che, propriamente parlando secondo Aristotele, è il fine della Politica e non del Diritto (che ha come oggetto la ‘ipsa res iusta’), cioè il bene comune.

Tra fisiologia e patologia dell’autorità

            Dall’etimologia e da una se pur minima e parziale riflessione razionale sulla dimensione sociale dell’uomo, emergono nitidamente quelli che sono oggettivamente la figura ed anche gli elementi costitutivi di ogni tipo di autorità. Volendo di proposito limitarmi qui alle autorità nell’ambito di quello che potremmo chiamare di ‘governo’ (in modo particolare in riferimento alla società statale ed ecclesiale), ho optato di rifarmi a quella che è un’autorità in ambito sociologico: Max Weber (1864-1920), che in un certo senso ha fatto il punto sulla questione divenendo imprescindibile confronto per chiunque intende affrontarla. Per il padre della sociologia (qui per summa capita), l’autorità è il potere legittimato, cioè un potere che si esercita perché riconosciuto legittimo dai sottoposti, i qualiobbediscono agli ordini provenienti dall’alto come se l’avessero voluto loro stessi. Per Weber il diritto di comandare è proprio solo di una tale autorità che egli distingue in tre ‘tipologie’: 1) tradizionale: il governo ed il potere è trasmesso per via ereditaria (v. monarchia); 2) carismatica: la guida ed il connesso potere decisionale sono svolte da una persona alla quale sono riconosciute (non è detto che le abbia effettivamente) particolari doti (v. grandi leader politici, religiosi, ecc.); 3) legale-razionale: il diritto di governare ed esercitare il potere è annesso ad una funzione che si consegue per aver osservato le procedure previste a livello istituzionale (v. elezione).

            Al di là di queste diverse tipologie di autorità o di forme di governo, rimane fermo che il senso stesso dell’esistenza dell’autorità in contesto sociale (che la esige), di qualunque tipo, è quello di essere un‘garante’, affinché ad ognuno venga riconosciuto ciò che gli appartiene, promuovendo o sanzionando i diversi comportamenti in favore o contrari a questo obiettivo, senza il quale non si dà pacifica convivenza e quindi la concreta realizzazione del bene comune (cf Is 32, 17). Un’autorità sarà tale se sarà vera e se sarà rispettosa della libertà propria di ogni consociato. In altre parole: si dà autorità solo in relazione ad una verità da accogliere e da realizzare nel far crescere liberamente le persone. Solo in questi termini, il potere esercitato dalla legittima autorità trova la sua ragion d’essere proprio nella sua specifica funzione nei riguardi di un gruppo o di una società. In certe determinate situazioni e secondo ben specificate procedure, l’esercizio del potere può prevedere, sempre per il bene comune, l’uso della forza, concretamente vari tipi di ‘coercizione’ che possono essere di tipo amministrativo ovvero penale. In ogni caso l’uso della forza deve essere secondo la legge e tenendo presente il principio di proporzionalità. Per spiegarci: uno Stato ha il diritto di usare ‘la forza pubblica’ e non ‘la violenza pubblica’ (dove si dà sproporzione tra offesa e difesa) per sedare una manifestazione non autorizzata. Inoltre, da quanto sopra detto, si evidenzia che il potere è la capacità di raggiungere alcuni obiettivi e chi ha l’autorità ha sempre la possibilità di esercitare il suo potere, ma chi ha il potere non sempre ha l’autorità (legittima e quindi secondo giustizia e non per ‘violenza’) per farlo. Infine, non bisogna dimenticare anche la possibilità, che una persona o un’istituzione possono avere le qualità dell’autorità ma non hanno potere: in questo caso si dice che queste persone hanno autorevolezza, anche se non è da escludere che, qualche volta, chi riveste un ruolo di autorità lo faccia con autorevolezza! Se un’autorità non realizzerà le su ricordate caratteristiche, sarà tale solo di nome, ma di fatto sarà un corruptio auctoritatis ed in qualche caso vera e propria tirannide (cf al riguardo: San Tommaso, S. Th., I-II, 105, 1; II-II, 105, 1-2).

Corollario: purtroppo, sempre più spesso in questi tempi e per diverse ragioni, assistiamo alla scelta di persone per ruoli di autorità, per i motivi più diversi, tramite elezione o per nomina da parte di un’autorità superiore, che oggettivamente non ne hanno le capacità, anzi è facilmente prevedibile che saranno un vero e proprio disastro per la comunità e l’istituzione.  Questo fenomeno increscioso deve interrogarci in quanto implica un deplorevole comportamento (immorale), dei diversi responsabili, a tutti i livelli, non ultimi di coloro che accettano passivamente, senza reagire, tali scelte. In questi casi, forse, colui che è eletto o nominato non si renderà neanche conto, o forse addirittura si convincerà di essere all’altezza del compito, facendo così ancora più mali, ma sicuramente chi dà il proprio voto per eleggere una persona che sa di essere incompetente o impreparata ovvero chi la nomina, hanno una gravissima responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini.

Conclusione

Anche se velocemente, ho cercato di ricordare in questa riflessione il senso dell’autorità che non è il risultato di un contratto tra i consociati, ma un’esigenza della natura sociale dell’uomo. Allora il primo ed unico problema, comune a tante dimensioni e realtà della nostra vita e natura umana, non è riguardo all’avere o non avere delle autorità, ma il solo problema che rimane è quello di avere delle buone autorità. Esse saranno tali nella misura in cui provvederanno a promuovere e difendere i diritti di ciascuno ed il bene di tutti. Solo così saranno ‘autorità che hanno allo stesso tempo autorevolezza’. Le autorità civili in questo dovranno essere sottoposte al principio di legalità, presupponendo e sperando che le leggi siano giuste e quindi riconoscano i diritti naturali delle persone. Nonostante che qualcuno possa credere il contrario, questo rimane valido anche per chi esercita l’autorità nella Chiesa cattolica. Anzi, queste autorità hanno in più il dovere di rispettare oltre che il diritto divino naturale anche il diritto divino positivo. In caso contrario, per le une e per le altre, si attuerebbe un esercizio dell’autorità contrario alla ragione, al deposito della fede, alla dignità della persona, al bene comune, che quindi avrebbe le caratteristiche della violenza essendo nei fatti mero arbitrio, in contrasto con la ragione e con la fede. Infatti, non si è violenti soltanto quando si usa in modo sproporzionato la forza (di qualunque tipo), ma anche quando non si applica, o addirittura si disprezza, il diritto e la giustizia. Qualunque autorità è essenzialmente un’amministratrice e quando dimentica questa sua specifica identità e vocazione, e si crede padrona di fare ciò che vuole (Prìnceps lègibus solùtus e questo per il solo fatto che in epoca imperiale romana, l’Imperatore ne era l’autore!), questo è sempre l’origine di ogni tipo di totalitarismo (Hannah Arendt). Per queste ragioni, non è possibile, e la storia e l’esperienza continuano a ricordarcelo, che chi esercita una qualche autorità, in tutti i contesti e livelli, non abbia una pur minima conoscenza e sensibilità giuridica (attenzione alla giustizia che è il primo atto di carità), ovvero non sia disposto a farsi aiutare da coloro che la possiedono: l’autorevolezza di una autorità si vede soprattutto dai collaboratori che si sceglie. Essi dovranno essere sempre i migliori possibili, perché chi è cosciente del proprio ruolo e dei propri compiti, non è ‘assillato’ di chi potrebbe fargli ombra, ma è solo preoccupato di svolgere al meglio il suo compito per gli altri, cosa che potrà avvenire il più delle volte solo grazie a collaboratori preparati ed onesti. L’autorità presuppone preparazione e competenza (cf San Tommaso, S. Th., I, 1, 8, ad 2um: la grazia suppone la natura!), abilità nell’usufruire delle competenze dei collaboratori, capacità di confronto secondo verità e rispetto, e non solo il semplice occupare un ufficio.

Allora ecco alcune domande che coloro che cercano o accettano posti di autorità dovrebbero farsi sempre e non solo all’inizio del loro mandato: ho le capacità e la competenza? Sono pronto a svolgere il ruolo di autorità come vero e proprio servizio (quindi con autorevolezza), ovvero a servirmi delle mie funzioni per impormi e realizzare i miei interessi? Mi sento un padrone? Sono cosciente che ho dei limiti invalicabili o sono sotto gli effetti di un delirio di onnipotenza che mi fa credere di poter fare tutto ed il contrario di tutto per il semplice fatto che esercito un potere? Sono cosciente, al di là delle buone intenzioni, di poter diventare un violento nell’esercizio del mio ruolo di autorità?

Anche in questo contesto, chi ha l’autorità dovrebbe seguire, per essere veramente all’altezza del suo compito ed essere quindi riconosciuta autorevole, lo spirito della Regola d’oro che Cristo ci ha lasciato e cercare di essere sempre quella autorità che si vorrebbe incontrare hic et nunc (cf Mt 7, 12). In ogni caso, ogni autorità dovrebbe sempre pregare Dio, che rimane l’unico onnipotente, dal quale solamente discende ogni autorità, con lo stesso sincero desiderio che animò la richiesta del Re Salomone: “Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male …” (1 Re 3, 9).

San Paolo (Brasile), 23 agosto 2019

Festa di Santa Rosa da Lima – Terziaria Domenicana

P. Bruno, O. P.


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