Compagna o fidanzata e moglie? Compagno o fidanzato e marito? (II/A: Cosa significa e perché fidanzarsi e sposarsi?)


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Compagna o fidanzata e moglie? Compagno o fidanzato e marito?
23 Maggio 2020
Compagna o fidanzata e moglie? Compagno o fidanzato e marito? (II/B: Cosa significa e perché fidanzarsi e sposarsi?)
31 Maggio 2020

Compagna o fidanzata e moglie? Compagno o fidanzato e marito? (II/A: Cosa significa e perché fidanzarsi e sposarsi?)


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Sommario: I. Introduzione; II. Cosa significa e perché fidanzarsi e sposarsi?; III. Partner: il significato ed il contesto propri di compagna/o; IV. Conclusione.

AVVERTENZA: per evitare un testo troppo lungo, questo paragrafo sarà diviso in due parti. II/B sarà pubblicato domani, domenica 31 maggio. Il paragrafo III e la conclusione nei giorni 1° e 2 giugno. Chi intende proseguire la lettura può farlo accedendo direttamente al mio sito: www.padrebruno.com. L’Introduzione è stata pubblicata sabato scorso.

II. Cosa significa e perché fidanzarsi e sposarsi?

In pillole il contenuto del presente paragrafo: Il vero amore è un desiderio, un anelito, quasi il bisogno di ogni persona che in quanto tale non solo ha un bisogno effettivo dell’altro, ma soprattutto sente un bisogno affettivo i cui livelli più alti sono rappresentati dall’amicizia e dall’amore sponsale. La dinamica di una vera relazione d’amore tra una donna ed un uomo è una realtà complessa che non può essere limitata al sentimento, alle emozioni destinate inesorabilmente a trasformarsi o addirittura a passare. In questo paragrafo si riassume schematicamente detta dinamica (compiacenza, concupiscenza, reciprocità, simpatia, amicizia, amore sponsale), e si prende atto che un tale tipo d’amore non può non impegnarsi in un rapporto in cui l’io ed il tu si fondano in un noi per la vita. Un tale impegno d’amore tra una donna ed uomo, pur essendo una realtà intima e personale per le persone coinvolte, nella quale non è possibile entrare, a nessuno ed in nessuna circostanza, ha delle conseguenze a livello sociale, sia civile che ecclesiale, ed anche per quanto riguarda la dimensione di fede. Da qui il senso non solo dell’opportunità, ma della necessità di una ratifica pubblica di questo impegno insieme che, come tutti sappiamo, non è mai una ‘telenovela’ e soprattutto non è mai ‘una rosa senza spine’. Questa è una verità ed allo stesso tempo un mistero come il ‘pathei mathos’ dell’Inno a Zeus nell’Agamennone di Eschilo: dalle sofferenze si può solo imparare, anzi si deve imparare per crescere e diventare così persone moralmente adulte, questo vale in modo particolare in un rapporto d’amore.

Ovviamente il riflettere sul significato di termini come compagna/o fidanzata/o trova il suo senso in riferimento ad un determinato tipo di relazione. Per evitare equivoci e fraintendimenti, mi sembra opportuno chiarire subito che prenderò qui in considerazione solo la relazione d’amore che si dà fra una donna ed un uomo, che reciprocamente si accolgono e si donano in una scelta permanente di vita ed aperta alla vita. Quindi nient’altro di ciò che verifichiamo essere parte della natura e dell’identità delle persone. Natura ed identità che il cristianesimo ha sempre riconosciuto, accolto anche se nella consapevolezza delle sue ferite, ma ancora di più certa della salvezza operata da Cristo, dalla sua opera di redenzione che, attraverso l’opera della Grazia eleva la natura, la perfeziona sanandola ed elevandola al piano soprannaturale (cf S. Theol, I, 1, 8, ad 2). Tutto ciò è chiarissimo riguardo al matrimonio, che non è una invenzione del cristianesimo, ma non è altro che il patto “… con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento” (CIC/83, can. 1055, § 1). Questo paragrafo del Codice di Diritto Canonico sintetizza ciò che non è altro che la realtà che vede intrinsecamente in relazione, pur nella distinzione, del piano naturale e di quello soprannaturale: il matrimonio è un istituto naturale che con il tempo è stato disciplinato in ambito civile e religioso con norme aventi forza giuridica, divenendo così anche un istituto giuridico. Questo istituto naturale, da Cristo è stato elevato a canale della grazia, facendone uno dei sette sacramenti, che la competente autorità nella Chiesa cattolica ha provveduto a normare lungo il corso dei secoli, ma sempre nella fedeltà a quello che il matrimonio è (e non potrebbe non essere, se non divenendo qualche altra cosa), a livello naturale e sacramentale.

Di seguito mi limiterò ad affrontare la complessa problematica limitandomi a quanto questa relazione richiede ed esige per sé, e non perché imposto da qualcuno. Quindi non prenderò direttamene in considerazione ciò che è richiesto al battezzato consapevole della sua fede, cioè che questo impegno non potrà che realizzarsi con la celebrazione del sacramento del matrimonio. Quindi di seguito mi limito a  dei brevi spunti di riflessione, quasi tessere da mettere insieme per formare un mosaico non da ammirare come un capolavoro del passato, ma da vedere, comprendere al fine di realizzarlo nella sola vita che ci è data di vivere (cf Salmi 114, 5 e 134, 16; Sap 4, 14; Ez 12, 2), con nessuna pretesa di esaustività ed ancora mendo di originalità e scientificità, ma come un semplice invito a chi legge ad intrattenersi su di essi con mente libera ed aperta affinché ciascuno possa arrivare a delle conclusioni secondo verità (v. linguaggio aletico nell’introduzione).

            La prima tessera che propongo, che di primo acchito potrebbe sembrare fuori luogo, è invece lo ‘sfondo’ dell’intero mosaico, e riguarda un aspetto fondamentale, non tenuto nella dovuta considerazione. Mi riferisco alla dinamica del nostro agire, in parole povere: perché scegliamo una cosa invece che un’altra? Anche se molti non se ne rendono conto, sempre a fondamento dell’agire c’è un fine che ci si propone di raggiungere. Questo fine provoca il nostro agire nella misura in cui abbiamo l’intenzione di raggiungerlo, di realizzarlo, quindi il fine è il primo nell’intenzione di chi agisce, anche se sarà l’ultimo nella realizzazione, nel conseguirlo. In questo modo il fine causa gli atti umani, ne specifica la natura e costituisce il criterio in base a cui si possono valutare. Il fine, dunque, ha la dimensione di causa nell’agire delle persone (cf S. Th., I-II, 1, 1, ad 1), ma allo stesso tempo ne costituisce la conclusione, così come lucidamente sottolinea san Tommaso: “… gli atti sono detti umani in quanto procedono da una volontà deliberata. Ma l’oggetto della volontà è il bene ed il fine. È perciò evidente che il fine costituisce il principio degli atti umani in quanto tali. E così pure ne costituisce il termine: infatti l’atto umano ha il suo termine in ciò che la volontà persegue come suo fine” (S. Th., I-II, 1, 3).

            Chiarito previamente, che sempre all’origine del nostro agire e delle nostre scelte c’è un bene colto come un fine da conseguire, dobbiamo ora vedere nella seconda tessera, le dinamiche che portano una donna ed un uomo ad innamorarsi tanto da voler realizzare una comunione di vita.

Su questo punto ed in quelli successivi di questo secondo paragrafo, farò libero riferimento al testo di Karol Wojtyla, riconosciuto santo da Papa Francesco nel 2014, Amore e responsabilità (pubblicato per la prima volta nel 1960), tematiche riprese da Pontefice nelle Catechesi del mercoledì negli anni 1981-1983. Alla luce di quanto sopra evidenziato, possiamo individuare l’aspetto che ci permette di procedere nell’assemblaggio di questo mosaico dell’amore sponsale: l’amore è sempre un rapporto reciproco di persone, un rapporto fondato a sua volta sul loro atteggiamento individuale e comune nei confronti del vero bene per loro. L’amore tra una donna ed un uomo non è altro che uno specifico tipo d’amore, esso s’imprime profondamente nella psiche di ambedue e resta legato alla vitalità sessuale dell’essere umano. Ma l’amore umano non si riduce a questi aspetti né s’identifica con essi in quanto si distingue per essere una relazione tra persone, quindi con un carattere personale.

Il primo elemento che si percepisce in questa relazione è quello della compiacenza, il presentarsi, reciproco, dell’altra e dell’altro appunto come un bene dal quale si è attratti. Quindi, a ben vedere, non è infondato affermare che siamo scelti dall’amore e non siamo noi a scegliere chi amare. Il modo immediato (da qui il così detto ‘colpo di fulmine’ o ‘cotta’), con cui tale compiacenza si manifesta, implica diversi fattori, ma con un ruolo determinante della tendenza sessuale, proprietà e forza della natura umana che in quanto tale deve essere vissuta, cioè come sessualità propria dell’uomo (cf http://www.padrebruno.com/amore-sesso/). Evidentemente l’attrazione per compiacenza, per non rimanere un vuoto sentimento, esige di essere verificata attraverso la mutua conoscenza, alla luce di un complesso di esperienze viste e vissute secondo verità, che va a confermare o meno l’amore oblativo per l’altra/o. In altre parole: non sarebbe vero amore, ma mera dipendenza chi fosse disposto a farsi schiavizzare dall’altra/o, perché la compiacenza è strettamente legata all’ambito dei valori. In una relazione d’amore tra una donna ed un uomo l’attrazione comporta che l’altro non deve apparire solo come ‘un bene’, ma il vero bene, l’uno per l’altra. Il problema è che nella maggioranza assoluta dei casi l’oggetto della compiacenza appare ad ognuno come un bene ed allo stesso tempo come bello. Infatti, è fondamentale tenere presente in modo particolare in questo nostro tempo contrassegnato dal dominio della bellezza e della prestanza fisica che: “La compiacenza sulla quale si fonda questo amore non può nascere dalla sola bellezza fisica e visibile, ma bisogna che abbracci in profondità la bellezza integrale della persona [con il primato di quella interiore]” (Karol Wojtyla, Amore e responsabilità, p. 536).

Il secondo elemento di una tale relazione è dato dall’amore come concupiscenza, intendendo propriamente con questo termine che l’amore si traduce anche attraverso il desiderio che fa parte dell’amore come la compiacenza, anzi spesso vi predomina. Infatti, l’essere uomo o donna, il sesso di ciascuno, è una certa limitazione dell’essere che tende a completarsi reciprocamente. Questo bisogno oggettivo dell’altra/o si manifesta anche attraverso la tendenza sessuale, quindi con un amore di concupiscenza (cosa diversa è la mera concupiscenza che si risolve nel proprio soddisfacimento) in quanto nasce e tende a trovare il bene che lo completa. “Il soggetto che ama è cosciente della presenza di questo desiderio, sa che la concupiscenza resta, per così dire a sua disposizione, ma se cerca di perfezionare il proprio amore, non lascerà che essa prevalga su tutto ciò che questo amore contiene in più di quel desiderio. Sente anche se non comprende che una tale egemonia del desiderio deformerebbe il loro amore e ne priverebbe entrambi” (ivi, p. 538). CONTINUA DOMANI …

Roma, Angelicum, 24 maggio 2020

Ascensione di NSGC e Traslazione del S. P. Domenico

P. Bruno, O. P.


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