“Solo quando sarete vittima di una ingiustizia …


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“Solo quando sarete vittima di una ingiustizia …


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comprenderete veramente, fino in fondo, che cos’è la Giustizia! Al di là di tutte le definizioni e spiegazioni che da Cicerone ed Ulpiano (Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere: D. 1.1.10pr) in poi, ne sono state date. Solo quando ci si sente vittime di una oggettiva ingiustizia, s’incomincia a capire l’importanza, anzi l’indispensabile necessità, della giustizia nelle relazioni tra gli uomini, sia nel contesto statuale sia in quello ecclesiale. Perché ogni volta che si subisce una ingiustizia è come se ci venisse strappata via una parte vitale di noi!”.

Nei miei ventiquattro anni d’insegnamento, ho sempre fatto questa introduzione al corso di Filosofia del Diritto, quando dovevo affrontare il tema della giustizia, delle sue relazioni con il diritto e la legge, cercando sempre di contestualizzare il tutto nell’ambito di quell’enigma che è la libertà umana, cercando di far prendere coscienza che, alla fine, si può essere veramente liberi solo seguendo certe regole. Evidenziando che il problema non è quello di avere o non avere delle regole, ma solo ed esclusivamente che queste siano giuste, visto che l’uomo essendo per natura chiamato a vivere con gli altri, non potrà realizzare pienamente quanto è parte integrante di se stesso. Paradossalmente anche in una utopistica società anarchica, nella quale venisse affermato il principio della totale assenza di regole e leggi, tutti si conformerebbero di fatto ad una regola! Allora, alla fine, non si tratta di formule e definizioni, di principi astratti che non si declinano nella vita quotidiana, ma concretamente di avere come costante obiettivo quella ‘regola d’oro’ che Cristo ci ha lasciata: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti” (Mt 7, 12).

            Tutto questo mi si è riproposto, con forza, in questi giorni, scorrendo le notizie sui vari giornali o guardano i telegiornali riguardo la sorte, tra le tante meno note, dello studente Patrick Zaki, in ‘detenzione preventiva’ (e qualcuno negli anni ha parlato anche di ‘guerra preventiva’ con i risvolti che tutti conosciamo …) da più di un anno in Egitto, per ‘presunta attività sovversiva’, applicando, senza dubbio alla lettera la legge in vigore; dell’arresto (senza vergogna ed arrivando alla ridicola presa in giro, che in realtà è solo ‘presa del potere, per la motivazione: ‘possesso di quattro walkie talkie importati illegalmente) del capo del governo birmano di fatto, Aung San Suu Kyi da parte delle forze armate birmane che hanno preso il potere per un anno, imponendo la ‘legge marziale’; in ultimo della condanna a due anni e cinque mesi del dissidente russo Alexei Navalny, sfuggito ad un tentativo di omicidio tramite avvelenamento. La decisione del giudice è arrivata nell’ambito del processo Yves Rocher del 2014, per il quale il dissidente era stato ritenuto colpevole di appropriazione indebita. In aula il dissidente ha urlato: “Chiedo il rilascio immediato per me e per tutti i prigionieri politici. Questo teatrino è illegale“.

Questi i casi più recenti e più eclatanti, ma quante palesi ingiustizie si consumano in ogni momento nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nel contesto delle confessioni religiose, nel mondo dello sport? Spesso e volentieri tutto questo avviene addirittura con la giustificazione e la complicità di una ‘legge’, come grazie ad una ‘legge’, nel corso dei secoli, sono state bruciate delle persone, trucidate e sterminate etnie, confinati in campi di concentramento chissà quanti essere umani, ghettizzate categorie di persone, confiscati i loro beni. Al riguardo suona come un monito da non dimenticare quanto scrisse Erich Kaufmann: “Lo Stato non crea Diritto, lo Stato crea leggi, e Stato e leggi stanno sotto il Diritto” (v. alla fine di questa riflessione il P. S.). Il buon senso ci fa riconoscere, oggi (ma non è stato lo stesso per chi ha vissuto tutto questo … evidentemente … ergo: può capitare anche a noi!), come quelle cosiddette ‘leggi’ non potevano, non erano vere leggi, ne avevano l’apparenza, ma non lo erano per il semplice fatto che erano prive della giustizia. Il grande san Tommaso d’Aquino ha lapidariamente evidenziato questa triste verità ricordando che esse non sono veramente delle leggi, ma piuttosto la loro corruzione, cosa che si dà inevitabilmente quando la legge umana perde la sua relazione con la legge divina (“Si vero in aliquo, a lege naturali discordet, iam non erit lex sed legis corruptio”: S. Th., I-II, q. 95, a. 2). La cosa più triste è infatti che queste leggi, il più di volte, sono ‘formalmente’, delle vere leggi in una determinata società, anche se imposte in modo dittatoriale ovvero sono state democraticamente votate in un parlamento, mostrando così il lato umanamente fragile della democrazia che si basa sul consenso, sulla maggioranza dei voti. Il fatto è che il consenso non è sinonimo di giustizia, ed il consenso è rilevante nei confronti della giustizia, ugualmente come lo è nei confronti del fatto che due più due fa quattro: semplicemente irrilevante! Ovviamente e nel modo più assoluto, questo non significa mettere in discussione la forma di governo democratica, ma solo prendere coscienza dei suoi limiti intrinseci, come faceva notare uno dei padri della Costituzione degli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin (1706-1790): “La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a colazione. La libertà un agnello bene armato che contesta il voto”.

Però, oltre la questione di leggi che palesemente usurpano e distruggono, corrompendone la funzione ed il significato, si danno casi, che purtroppo mi sembra sono la maggioranza, di un uso ed un’applicazione arbitraria di leggi, oggettivamente giuste in sé, utili alla realizzazione della convivenza con il fine del bene comune, da parte di chi esercita un’autorità, che si rivela essere nella realtà mero autoritarismo e mero esercizio di potere. Dove coloro che dovrebbero esserne i garanti si dimostrano degli opportunistici approfittatori che usano ciò che è stabilito per il bene di tutti per conseguire i loro interessi personali o del gruppo al quale appartengono. Convinti che il ruolo che ricoprono autorizzi loro di sentirsi come gli imperatori romani che anche se in realtà, all’inizio, solo in alcuni ambiti del diritto privato – si sentivano non sottoposti e vincolati alla legge (“Princeps legibus solutus”: D. 1, 3, 31). Persone chiamate a ‘servire’ la propria istituzione, che invece si servono di questa o la vilipendono, non applicando equamente le norme, forti della convinzione di non dover rendere conto a nessuno (speriamo solo in questa terra!), e che tanto ed in ogni caso rimarranno impuniti in quanto sono loro l’autorità, hanno loro il potere. Allora, anche se potranno suonare altamente ciniche, ritornano alla mente le parole attribuite al Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, Giovanni Giolitti (1892-1921): “Cos’è la legge? È quella cosa che si applica ai nemici e si interpreta per gli amici”. Però, questo modo di stravolgere il perseguimento della giustizia si rivela in modo preoccupante e direi quasi scandaloso, nell’ambito giudiziario. Proprio in quest’ambito, in tutti i contesti, si può constatare come la magistratura non sia poi così indipendente, e come la Giustizia non solo non sia più bendata, ma abbia le orecchie ben aperte per cogliere le opinioni dei media, delle sentenze che si emettono magari in un talk show. Dove non si dà un reale diritto alla difesa all’accusato – cosa che ha fatto anche Dio nei confronti di Adamo (cf Gn 3, 9-13) – quando si tiene nascosta l’identità dell’accusatore o non si tiene conto della sua credibilità, elementi costitutivi di quella civiltà giuridica di cui siamo figli, dove non si rispettano, in nome di cavilli giuridici, quando conviene e per chi conviene, le più elementari regole dell’amministrazione della giustizia. Dimenticando così una verità semplice, ma come tutte le verità di una diamantina inviolabilità, che si va da un giudice affinché questi renda giustizia e non che pensi di crearla sentendosi quasi un padreterno.

Alla luce di queste semplici considerazioni sulla storia e sull’oggi, che non sono e guai se venissero colte come un giudizio, dovremmo prendere coscienza della necessità vitale per tutti, nessuno escluso, della realizzazione sempre più piena della vera giustizia che riconosce a ciascuno ciò che gli appartiene, che per fede sappiamo donato da Dio. Detta realizzazione, che su questa terra non sarà mai completa, ha come punto di partenza proprio la presa d’atto dei continui comportamenti che la sviliscono fino a stravolgerla. Prendendo atto che non stiamo tanto assistendo ad un ‘teatrino dell’illegalità’, ma ad uno scempio di una delle realtà più preziose della nostro essere con e per gli altri, nella scoperta che rispettare la giustizia è la prima forma d’amare: nulla est Caritas sine Iustitia. In tutto questo non sono solo in gioco la credibilità delle società e delle varie istituzioni, ma soprattutto il bene comune che si realizza nella misura in cui si rispetta il bene di ogni singola persona.

P. S. Tenendo presente i tanti riscontri ricevuti, ma allo stesso tempo che la presente non ha nessuna pretesa di esaustività, è importante, anche alla luce della citazione di san Tommaso, tenere presente che i termini legge e diritto possono avere significati diversi (polisèmico): legge/diritto divina/o, legge/diritto umana/o, ecc. Questo significa che lo stesso ‘principio di legalità’ può essere differentemente inteso in relazione del contesto. Ogni cittadino è tenuto ad obbedire alle leggi del proprio Paese, ma nella misura in cui queste rispettano la legge naturale. Nessuna autorità umana può andare contro la legge divina, naturale e, per il credente, anche positiva: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5, 29).

Santuario di Santa Maria del Sasso Bibbiena, 4-II-2021

Memoria di Santa Caterina de Ricci, O. P.

P. Bruno, O. P.


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