Proibito perché impossibile o impossibile perché proibito? Liberi perché senza regole o regole per essere liberi?


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Proibito perché impossibile o impossibile perché proibito? Liberi perché senza regole o regole per essere liberi?


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Premessa

            Sempre dalla lettura del testo di P. Adrien[1], mi sembra importante ed opportuno, soprattutto nell’attuale contesto sociale, culturale ed ecclesiale, proporre una riflessione, condividendola con quanti la riceveranno o s’imbatteranno in essa, sul significato e soprattutto sulle relazioni tra due altri termini, dei quali non sempre si colgono il contenuto e le dinamiche: impossibile e proibito,  ma anche dei termini libertà, regola, ma soprattutto, udite, udite – cosa che farà sicuramente scalpitare qualcuno che si crede moderno e renderà più che intollerante qualche ‘sbandieratore della ‘tolleranza’[2] ovvero qualcuno che si presume giusto disprezzando gli altri (cf Lc 18, 9) – il concetto di peccato che non va confuso con il semplice anche se importante senso di colpa (dimensione psicologica), e alla fine dei conti non è altro che un aver sprecato un dono prezioso ricevuto per e con amore (dimensione spirituale che include e dà senso alle dimensioni fisica e spirituale)[3]. Tutti termini che, a mio avviso, hanno un certo nesso di causalità con quelli d’impossibile e di proibito.

Riandare alle origini per iniziare a capire se stessi e gli altri

            La Sacra Scrittura ci offre la chiave di lettura – che di solito dimentichiamo di avere e perciò ricerchiamo o ci affidiamo incautamente per ‘entrare’ a quelli che sono in realtà solo ‘strumenti da scasso’, per comprendere chi siamo e del perché di tanti nostri comportamenti – attraverso alcuni versetti del libro della Genesi: “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: ‘È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?’. Rispose la donna al serpente: ‘Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’. Ma il serpente disse alla donna: ‘Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male’” (3, 1-5). Meditando su questo racconto cogliamo immediatamente che l’autore sacro ha voluto trasmetterci una significativa verità: all’origine della nostra attuale situazione non vi è un peccato che riguarda l’avere, ma essenzialmente l’essere dell’uomo. Infatti, i nostri progenitori avevano tutto, il loro peccato non ha riguardato il possesso di qualcosa o la ricerca di piacere, ma l’essere come Dio, il creatore, colui che decide che cosa è bene e che cosa è male, in un vero e proprio delirio di onnipotenza che continua fino ad oggi, dove si pretende di decidere a chi dare la vita, a quale sesso appartenere, in poche parole: di decidere su tutti e tutto e l’esatto opposto, semplicemente partendo dal proprio ‘io’ scambiato per un ‘dio’[4]. Da questa folle pretesa si susseguono le altre follie fino ai nostri giorni dove le varie ingiustizie, guerre, povertà, violenze e sofferenze degli uomini sono gli effetti che giornalmente abbiamo sotto gli occhi. La storia dell’uomo da quella folle pretesa si è trasformata in dramma e per moltissimi e spesso, in vera e propria tragedia.

Impossibile – Proibito

            Quindi, se vogliamo riscoprire il perché del nostro presente, occorre riandare necessariamente a quanto accadde ai nostri progenitori per comprendere che il loro peccato è consistito essenzialmente nel credere a quanto affermava il serpente: “Di credere che Dio è cattivo con loro, che vuole limitarli e costringerli per il suo proprio piacere, che proibisce loro delle cose buone perché non li ama. Di non capire che Dio li ha semplicemente avvertiti, per il loro bene. Che la vita non è un terreno su cui la mia volontà e la volontà di Dio si contrappongono, e su cui l’una può avanzare solo a spese dell’altra: io voglio mangiare il frutto, Dio non vuole, quindi non ho altra scelta tra sottomissione e rivolta. La realtà è un po’ differente: io voglio vivere, e Dio vuole che io viva. Vogliamo tutti la stessa cosa: il bene, il mio bene. Dio non mi vieta niente, ma mi avverte che i mezzi che io vorrei utilizzare sono talora una pessima scelta. Diciamolo in altro modo. L’errore di Adamo ed Eva è confondere il proibito con l’impossibile. Dio dice loro che è impossibile mangiare il frutto e vivere; loro capiscono che mangiare il frutto è proibito, anche se a loro farà bene. Tutti i comandamenti di Dio, peraltro, non fanno che allertare su ciò che è impossibile. La tentazione è sognare un altro mondo, un mondo in cui l’impossibile non esista. Un mondo in cui Adamo ed Eva possano mangiare del frutto mortale e non morirne. Un mondo in cui ci si possa drogare e restare liberi, senza dipendenze; in cui si possa uscire a cena con l’affascinante stagista dell’ufficio e rimanere padri di famiglia esemplari; in cui si possa essere al contempo ladri e fieri di sé. Un mondo in cui gli atti non avrebbero alcun peso. Un mondo in cui essere peccatori e felici. E il tour de force del tentatore, da Adamo ed Eva in poi, è farci credere che nulla di tutto questo è impossibile, solamente è proibito” (p. 32).

Proprio qui è la sfida con la quale siamo tentati quotidianamente, convincerci che Dio ci vuole suoi schiavi vietandoci di essere felici. Quindi esattamente il contrario di quello che Cristo ci ha rivelato che: “… c’è una sola maniera di fare la volontà di Dio: amandola, credendo che essa è buona per noi, che ci conduce a un vero bene. Dunque volendola liberamente. Certamente non chiudendo gli occhi e piegando la testa. Non si tratta di ubbidire ma di capire[5] – e, comprendendo, probabilmente troverò il bene desiderabile e il male pericoloso. Allora agirò liberamente, perché avrò riconosciuto il mio bene e lo cercherò di mia spontanea volontà. Allora farò davvero quello io che voglio, e quello che Dio vuole. Il problema, infatti, se io confondo la virtù con una faticosa sottomissione (tanto più meritoria, ovviamente, quanto più faticosa) a una volontà divina incomprensibile, è che allora io continuo a pensare, in un angolino della mia testa, che questo peccato in cui mi proibisco di cadere mi farebbe però del bene. Se Dio è un tiranno, anche se desidero ubbidirgli la trasgressione avrà sempre dei colori seducenti. Quanti rapporti ambigui e insani con il male prendono origine da questa confusione, che alimenta tante dipendenze e sentimenti di disagio! Perché noi continuiamo a credere che il male sta nella trasgressione, mentre è invece il peccato in sé che ci distrugge” (pp. 32-33).

Peccato, libertà, regole …

Quindi, ciò che rischiamo di dimenticare e di non tenere nel dovuto conto è che se c’è qualcuno che vuole la nostra vera felicità, questi è Dio, ma soprattutto che ciò che ci trasformerà (tecnicamente: ‘convertirà’) non sarà la paura di una vendetta da parte di un dio fatto a nostra immagine e somiglianza, delle pene eterne di un inferno dantesco, ma la sorpresa di essere amati così come siamo, ma per essere aiutati a crescere nel diventare persone più buone, più oneste e quindi veramente libere nel rispettare la propria dignità, la dignità degli altri, la dignità del creato. In questo contesto si può allora iniziare piano, piano a iniziare a comprendere qualcosa di cosa significhi realmente ‘peccato’, ‘peccare’. Non si pecca per il fatto che si è contravvenuto ad un comandamento di Dio, ma in quanto si offende e spreca prima di tutto il dono che Dio ci ha fatto in quella legge che ogni creatura e il creato portano in loro, in quanto così sono stati voluti da Dio, verità che è percepibile alla luce della sola ragione (cf Rm 1, 19-23).

La presa di coscienza di queste semplici, ma determinanti verità, c’introducono al significato di vera libertà che non può sussistere se non grazie a quelle regole che reggono la vita umana e della natura. Una libertà che non è e non può essere vissuta come una assoluta ed incontrollata volontà di fare quello che si vuole, ma come scelta di ciò che è bene, per il mio bene inseparabile alla fine da quello del mio prossimo, e quindi libertà da tutto quello che è male in quanto non permette la realizzazione del bene, di ciò che è vero e giusto. Un semplice esempio per invitare a riflettere che la vera libertà presuppone il seguire delle regole. Io posso liberamente decidere se guidare o no una macchina, ma se decido di prenderla devo metterci la benzina (ed assicurarmi di tutto il resto …); io posso liberamente fare immersioni subacquee con le bombole, ma una volta che risalgo devo fare la decompressione: il mettere la benzina nella macchina o fare la decompressione non sono una violenza alla mia libertà, ma sono ciò che mi permettono di esercitarla[6]. Per queste ragioni lascia a dir poco perplessi guardare il video e leggere quanto riportato qualche giorno sulla versione on-line del Corriere della Sera: “Una studentessa texana, Paxton Smith, durante la cerimonia della consegna del diploma alla Lake Highlands High School di Dallas, è salita sul podio e ha letto davanti a tutti i diplomandi un discorso contro la legge anti aborto del Texas (approvata e firmata dal governatore Greg Abbott). ‘Spero voi sentiate quanto tutto ciò sia straziante. Quanto sia disumano che l’autonomia sul vostro corpo via sia tolta’, ha detto. E ancora: ‘Non posso salire su questa piattaforma per parlare di pace, quando c’è una guerra che si combatte sul mio corpo, una guerra contro i miei diritti. Una guerra sui diritti delle vostri [sic!] madri, delle vostre sorelle, una guerra sui diritti della vostre figlie. Non possiamo restare in silenzio’“[7]. La perplessità nasce dal fatto che, soprattutto ascoltando la studentessa, quando parla di avere il diritto a non sprecare dodici anni di duro lavoro negli studi, quando afferma veementemente che nessuno ha diritto d’imporle di non abortire dopo sei settimane, dimentica forse che tutto quanto lei sta rivendicando è sacrosanto e perciò deve essere riconosciuto a tutti, come sua madre l’ha riconosciuto a lei permettendole di essere lì in quel momento. Quindi non può non essere riconosciuto a chi oggi, come lei un giorno, era il ‘concepito’[8].

Conclusione

Da queste semplici considerazioni guidate dal principio di realtà e cercando di essere il più possibile onesti a livello intellettuale e morale, emerge e s’incomincia a intravvedere che il proibito presuppone sempre la dignità di una realtà che è impossibile snaturare, violare, stravolgere impunemente. Ognuno di noi può fare tutto, ma non tutto ci edifica ed è per il nostro bene e per il bene del nostro prossimo e del creato (cf 1 Cor 10, 23).

        Allora, a ben vedere le cose non stanno come canta in una sua recente canzone Max Gazzè: “Potremmo vivere felici e stare a un passo dal peccato. Magari farci del male, finire e ricominciare. […] Potremmo cedere alle tentazioni e alla diplomazia. Vendere l’anima al diavolo, parlare in modo sarcastico. C’è chi si perde e vede solo la realtà. E chi non sa cos’è l’amore”, per il semplice fatto che la realtà è ben altro e chi si pensa furbo perché domina, non ama.

            Nel film Narciso e Boccadoro, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di H. Hesse, l’anziano Abate ad un certo punto dice al giovane Narciso: “… comunque sappi che per molte persone è strano se si è troppo assennati”. Penso che però già è un primo passo se mi accorgo di non esserlo. Questo è l’ammonimento che ricevo riflettendo su queste realtà e su questi valori della vita, in modo particolare nella prospettiva della fede in Cristo che ci ricorda che siamo chiamati a vivere da figli e non da schiavi. Allora è importante almeno sentire l’urgenza di un silenzio e di un ascolto di Colui che ci ama più di noi stessi, perché solo questo ci cambierà veramente in meglio la vita.

Basilica Santuario di Santa Maria del Sasso, Bibbiena (Arezzo), 8 giugno 2021, Memoria delle Beate Diana e Cecilia, Monache Domenicane

P. Bruno, O. P.


[1] Cf Premessa e nota 1 in: http://www.padrebruno.com/riconoscenza-o-gratitudine/. Anche in questa riflessione le indicazioni delle pagine riportate si riferiscono a quel testo.

[2] Sul significato proprio, stravolto dall’uso, rinvio ad un’altra mia riflessione: http://www.padrebruno.com/rispetto-tolleranza/.  

[3] Per quanto riguarda il vero e proprio concetto di peccato, cf: http://www.padrebruno.com/senso-di-colpa-o-senso-del-peccato-esame-di-coscienza-o-dincoscienza/.

[4] Cf B. Esposito, La risposta cristiana al soggettivismo etico e giuridico, in http://www.settimananews.it/diritto/risposta-cristiana-al-soggettivismo-etico-giuridico/.

[5] A mio sommesso avviso una ubbidienza che è chiamata sempre a scoprire le sue motivazioni per accogliere e comprendere prima di tutto la ragionevolezza e l’amore che ci sono dietro. Questa è la sola e vera ubbidienza umana, l’ubbidienza cieca non è degna dell’essere umano creato da Dio intelligente e libero, ubbidienza, come sappiamo tutti, invocata molto spesso per credersi di dispensarsi dalle proprie responsabilità (v. processo di Norimberga).

[6] Cf S. Cotta, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica, Milano 1991, pp. 189-190. Dal punto di vista giuridico il tutto riveste una rilevanza speciale in quanto permette di recuperare il senso dell’ubbidienza alla norma giuridica: non si ubbidisce ad una norma, ad una legge perché ne è prescritta l’obbligatorietà dalla competente autorità attraverso la promulgazione e l’inclusione in un Codice o attraverso il precedente giurisprudenziale, ma perché un norma è giusta e serve al bene comune, e per questo che viene promulgata (“La legge è un ordinamento di ragione volto al bene comune, promulgata da chi abbia la cura della comunità”: San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-II, q. 90, a. 4).

[7] Legge anti aborto in Texas, il discorso della studentessa Paxton Smith nel giorno del diploma, in https://video.corriere.it/esteri/legge-anti-abortista-texas-discorso-studentessa-paxton-smith-giorno-diploma/c5f0766a-c56f-11eb-86af-ac042f3197d2, consultato il 7-VI-2021. Il grassetto è nell’originale.

[8] In questo contesto assistiamo ad un fenomeno preoccupante a livello giuridico in quanto non si tiene conto, non si vuole tener conto di ciò che è è ovvio ed evidente: la vita fisica non è una realtà progressiva o c’è o non c’è! Le varie leggi umane che non permettono l’aborto dopo un certo numero di settimane, ipocritamente danno per scontato ciò che scientificamente non può essere provato: la settimana precedente, ma anche un attimo prima del lasso di tempo stabilito dalla legge, che cosa c’era o chi c’era nella pancia della madre?


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