Dante Alighieri ai domenicani di ieri e di oggi: “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia” (Paradiso XI)


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Dante Alighieri ai domenicani di ieri e di oggi: “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia” (Paradiso XI)


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Fausta occasione – nonostante il pandemonio provocato dalla pandemia del COVID-19 e a conferma che ci sono sempre ‘occasioni’ di bene e potenziali positività – il 2021 appena trascorso in quanto ha visto le celebrazioni degli ottocento anni del Dies natalis di san Domenico di Guzman (1170-1221) e i settecento anni della morte di Dante Alighieri (1265-1321). Soprattutto è stato per i domenicani un ‘anno giubilare’ – perciò di gioia e di grazia che si conclude proprio il 6 gennaio 2022 -, quindi di rendimento di grazie per quel dono di Dio che è stato san Domenico e del carisma che è stato affidato a lui e all’Ordine da lui fondato e approvato ufficialmente da papa Onorio III nel 1216 con le caratteristiche della predicazione itinerante, della povertà mendicante, dello studio e della vita fraterna in comune. Un Ordine a cui Dante deve molto della sua formazione religiosa e della sua cultura teologica, come la Divina Commedia del resto dimostra, attraverso soprattutto la predicazione dei dotti domenicani dei suoi tempi del Convento di Santa Maria Novella a Firenze. Riconoscimento che d’altra parte è possibile verificare soprattutto in alcuni passi dello stesso capolavoro dantesco.

           Proprio riflettendo in questi ultimi giorni sulle varie iniziative che hanno costellato il Giubileo domenicano mi sono tornate alla mente le parole dell’XI Canto del Paradiso, imparate decenni fa durante gli anni del Liceo e spiegate magistralmente da una preparatissima professoressa e Preside dell’Istituto, l’indimenticabile prof. ssa Carla Giannelli. Questo soprattutto alla luce dei molteplici interventi e scritti in questo anno da parte di molti membri delle varie componenti della Famiglia domenicana (frati, monache, suore, fraternite sacerdotali, laiche e laici). Ormai arrivati alla conclusione di questo anno particolare di grazia – perché tutto, sempre e comunque è grazia – come ci ricorda Bernanos nel suo Diario di un curato di campagna, rifacendosi a santa Teresina di Lisieux e questa a san Paolo (cf 2 Cor 9,8). È un tempo di dovuti e necessari bilanci, ma anche di doverose assunzioni di responsabilità da parte di coloro che sono stati chiamati e hanno liberamente risposto di vivere il carisma domenicano, che mi piace riassumere, parafrasando le parole dell’Apostolo delle genti: la carità della verità (cf Ef 4,15). Infatti, si esige la consapevolezza di non poter essere predicatori di un’algida dottrina o trasmettitori d’insignificanti e astratte nozioni come anche di oppressive regole morali, che in quanto tali non possono esistere nella realtà valuta da Dio, ma piuttosto testimoni, cioè di donne e uomini che condividono con il prossimo, che Dio ha messo  loro accanto nel pellegrinaggio terreno, la propria esperienza di fede nelle Spirito Santo, il loro incontro con Colui che ci ha manifestato il volto di Dio, suo Figlio Gesù Cristo (“… perché il Dio che disse: ‘Splenda la luce fra le tenebre’ è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio, che rifulge nel volto di Gesù Cristo”: 2 Cor 4,6), che diventa per ciò stesso scopo di vita (cf Gal 2,20).

           All’inizio delle celebrazioni del Giubileo, l’attuale successore di san Domenico alla guida dell’Ordine, ci invitava a riflettere sulle seguenti domande:

1)         cosa significa per noi essere a tavola con san Domenico qui e ora (hic et nunc)?

2)         In che modo la sua vita e il suo lavoro ci ispirano e ci incoraggiano a condividere la nostra vita, la nostra fede, speranza e amore, i nostri beni spirituali e materiali in modo che anche altri possano essere nutriti a questa stessa tavola?

3)         In che modo questa tavola diventa un tavolo per spezzare Parola e del Pane della Vita?

            Sono tuttora convinto che ogni interessato dovrà rispondere in modo personale a queste domande. La mia risposta è la stessa di quella che diedi all’inizio dell’anno giubilare e si riassume in un concetto che allo stesso tempo diventa incessante preghiera: la conversione del cuore, affinché alla fine della vita non mi accada di dover riconoscere di averla sprecata[1]. D’altra parte, la presa di coscienza di uno stato permanente di conversione deve essere la presa d’atto oltre che di ciascuna persona, anche di ogni realtà e istituzione religiosa, pena la perdita della sua identità e lo smarrimento nella realizzazione della sua missione e del suo servizio alle anime che compongono il popolo di Dio.

           Quindi, tenendo presente quanto ho fin qui ho cercato brevemente d’illustrare, non dovrebbe risultare strana la mia scelta di concludere quest’anno giubilare proponendo di riflettere proprio sul Canto XI del Paradiso. Mi limito qui ad introdurlo brevemente per poi riportare il testo parafrasato, per lasciarlo alle considerazioni personali di ogni membro della Famiglia domenicana, nella convinzione che ogni commento personale sarebbe giustamente percepito come presuntuoso e fuori luogo. Una cosa mi sembra però importante evidenziare: è quasi ‘fisiologico’ nel cammino della vita religiosa, personale e istituzionale, perdere l’entusiasmo iniziale e ‘adattarsi’, convincersi che ‘tanto non cambierà nulla’ e che alla fine bisogna adeguarsi se si vuole sopravvivere. Le continue riforme nella Chiesa testimoniano però che lo Spirito Santo è più ‘caparbio’ e più forte dello spirito del mondo. La ‘Regola’ a cui si riferisce Tommaso è allora scoperta non come un giogo a cui sottostare con il timore di chi si sente schiavo, ma come un appello a vivere nella legge della carità, da figli e da fratelli, che è molto più esigente di tutte le leggi degli uomini, in quanto mi chiede, incredibilmente e contro ogni logica umana, di arrivare ad amare il proprio nemico (cf Mt 5,44; Lc 6,27.35; 1 Cor 13; Regola di sant’Agostino).

            Dante iniziò la composizione della Commedia durante l’esilio, probabilmente intorno al 1307. La cronologia dell’opera è incerta, ma si ritiene che l’Inferno sia stato concluso intorno al 1308, il Purgatorio intorno al 1313, mentre il Paradiso sarebbe stato portato a termine pochi mesi prima della morte, nel 1321. Il viaggio narrato da Dante nel poema si svolge circa in una settimana, da venerdì 8 aprile (o 25 marzo) a giovedì 14 aprile (o 31 marzo) dell’anno 1300, quindi del primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII. Ha per quindi per il sommo poeta una valenza simbolica: coincide con la speranza di un rinnovamento spirituale e politico che è alla base del pensiero dell’autore. In concreto, il Canto XI del Paradiso si svolge nel cielo del Sole, ove risiedono gli spiriti sapienti. siamo alla sera del 13 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 30 marzo 1300. Questo Canto è speculare al XII, in quanto entrambi parlano di un Ordine religioso lodandolo alle sue origini e lamentando la sua decadenza presente. Nell’XI è Tommaso d’Aquino[2], domenicano, che descrive prima la vita di Francesco d’Assisi fondatore dei francescani, e al termine denuncia la decadenza proprio del suo Ordine domenicano; nel Canto successivo avverrà l’opposto nelle parole di Bonaventura da Bagnoregio.

Ai vv. 118-139 Tommaso biasima il suo Ordine che, già dopo relativamente pochi decenni dalla fondazione, ha perduto, nella maggioranza dei religiosi, il fervore e lo spirito delle origini. Però chi ne fa parte e si attiene alla Regola, cioè alla traduzione normativa di quanto lo stesso carisma esige, non può che acquistare grandi meriti. Tuttavia le pecore di questo gregge sono diventate ghiotte di altro cibo, quindi si allontanano dai loro pascoli e, quanto più vagano, tanto più povere di latte tornano all’ovile (i domenicani che deviano dalla Regola e quindi dal loro proprio carisma che di fatto tradiscono ricercando potere, onori e beni terreni). Certo alcune fra esse che si stringono al pastore (si attengono alla Regola, sono semplicemente e onestamente fedeli ai voti che hanno liberamente professato), ma sono talmente poche che occorre poco panno a confezionare le loro cappe. A questo punto Dante, se ha ascoltato con attenzione, può ben capire quali sono i difetti dell’Ordine domenicano, e può intendere il biasimo di san Tommaso quando afferma “dove ci si arricchisce spiritualmente, se non si devia dalla Regola”.

            Credo che se a conclusione di questo anno giubilare, ogni sorella e fratello della Famiglia di san Domenico, si sentirà chiamato in prima persona, a prescindere da tutti e da tutto, a questo cammino di conversione, sperimenterà la misericordia di Dio, delle sorelle e dei fratelli, che l’aprirà a Dio, a se stesso, al prossimo e a tutta la creazione. Del resto è proprio la misericordia che ciascuno ha chiesto nel momento della professione religiosa, ed è solamente dall’esperienza quotidiana di questa misericordia accolta e donata che il carisma domenicano potrà portare frutti per questo mondo così bisognoso, allo stesso tempo, di verità e di amore, cioè dell’amore vero.

Parafrasi (vv. 118-139)

“A questo punto puoi capire chi fu colui (san Domenico) che fu degno collega di Francesco nel mantenere la nave della Chiesa nella giusta rotta, in alto mare;

e questo fu il nostro patriarca; e chi lo segue attenendosi alla sua Regola, non può che imbarcare buona merce (arricchirsi spiritualmente).

Ma il suo gregge è diventato ghiotto di nuovi cibi (i beni terreni), per cui è inevitabile che si disperda in diversi pascoli; e quanto più le pecore se ne allontanano vagabonde, tanto più povere di latte tornano all’ovile.

Certo, ce ne sono alcune che temono il danno e si tengono strette al pastore (seguono la Regola), ma sono così poche che serve poco panno a confezionare le loro cappe.

Ora, se le mie parole non sono oscure, se mi hai ascoltato con attenzione, se richiami alla tua mente quanto ho detto prima, in parte il tuo desiderio sarà soddisfatto, perché vedrai da dove ha origine la corruzione dell’Ordine domenicano, e capirai la correzione che argomenta ‘Dove ci si arricchisce spiritualmente, se non si devia dalla Regola’”[3].[

Basilica Santuario di Santa Maria del Sasso, Bibbiena (Arezzo), 5 gennaio 2022, Vigilia della Solennità dell’Epifania e della conclusione dell’anno giubilare

P. Bruno, O. P.


[1] Cf il seguente mio scritto in occasione dell’apertura dell’anno giubilare: Un innamorato che non ha conosciuto le distanze, ma le ha percorse:  san Domenico di Guzman (Testo completo), in https://www.padrebruno.com/un-innamorato-che-non-ha-conosciuto-le-distanze-ma-le-ha-percorse-san-domenico-di-guzman-testo-integrale/, consultato il 5-I-2022.

[2] Canonizzato da Giovanni XII nel 1323 e quindi dopo che Dante aveva scritto il Canto XI.

[3] Cf https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xi.html, consultato il 5-I-2022.


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