“O Cristo Resurrezione nostra” (Orazione XIII). XXV di santa Caterina Compatrona d’Europa (1999-2024)*

La famiglia: una benedizione?
30 Dicembre 2023

“O Cristo Resurrezione nostra” (Orazione XIII). XXV di santa Caterina Compatrona d’Europa (1999-2024)*

Thomas de Coloswar, Risurrezione (1427), Museo Cristiano, Esztergom (Ungheria).

Verosimilmente il 14 aprile 1379, giovedì della settimana ‘in Albis’, la santa senese elevò una preghiera alla SS. Trinità: fuoco d’amore inestinguibile e luce che illumina l’agire della Chiesa e del mondo intero, ricordando e invocando all’inizio proprio la missione del Figlio “O resurrezione nostra”. Ella celebrando e vivendo il mistero pasquale, ricorda la volontà divina di riscattare il fiore unico e prezioso del suo giardino: l’uomo. Cristo, il Figlio di Dio è il ‘portinaio’ del giardino della creazione, ed ha operato questo riscatto prendendo nella mano della sua umanità la chiave della Deità. La conclusione è un grato riconoscimento per l’insegnamento che la seconda Persona della SS. Trinità ci ha lasciato e che costituisce al tempo stesso la sua gloria: le sue sofferenze e l’offerta della sua vita per l’amore che portava all’uomo. Questa Orazione, come del resto tutte le altre “… non sono state dettate: ‘ricolte’, forse a sua insaputa dai discepoli intenti a carpire dalle sue labbra le parole che, quasi inconsciamente, traducevano in forma verbale il suo colloquio interiore …[1]. Quindi una testimonianza significativa della sua relazione d’intima unione con Dio Uno e Trino, che deve spronare ciascuno di noi, come accadde a lei, a vivere il mistero della Pasqua che abbiamo da poco celebrato e per continuare a farlo soprattutto in questo Tempo pasquale che si apre davanti a noi. Lo stupore di Caterina, di fronte alla profondità della sapienza di Dio (cf Rm 11,33), del suo progetto redentivo per l’umanità manifestato nell’amore misericordioso e compassionevole del suo Figlio, deve essere anche il nostro. Solo allora comprenderemo che la croce di Cristo non è uno scandalo, una follia (cf 1 Cor 1,23) – come ugualmente non lo sono nella realtà le nostre croci se vissute con e per amore – ma la più alta testimonianza della sua pedagogia impregnata d’amore[2]. Quindi, la croce non uno scandalo o una mancanza di senno, ma la più alta manifestazione dell’amore e della Sapienza di Dio per l’umanità. Perciò se non arriviamo come Pietro, Giacomo e Giovanni a vedere il volto trasfigurato di Cristo (cf Mc 9,2-8) e come gli Undici a fare esperienza del Risorto, non riusciremo a seguirlo nella proposta di vita che ci fa. Intravedendo che la vera grandezza non si misura più per il potere, la conquista, la posizione, la fama, la carriera, il conto in banca, il possedere, ma dall’amore accolto (cf 1 Gv 4,19) e donato (cf Gv 13,34-35). Perché se non facciamo l’esperienza di chi ha trovato qualcosa di unico, la perla più preziosa (cf Mt 13,46), non lasceremo mai quanto ci lega, ci affascina e ci seduce, ma non potrà mai riempire le nostre aspirazioni di senso e desiderio di realizzarci che si danno solo amando.

Infatti, la molla della conversione che il Signore ci chiede – il cambiamento di mentalità[3]sarà sempre e solo la percezione di un amore e di un bene più grande e che il peccato di fatto ci nega! La vera conversione non si dà ai saldi: costa perché è per qualcosa che vale molto, molto di più di quello che possiamo immaginare! Però, il frutto del vero pentimento – che non può non portare in sé il cambiare comportamento e l’esigenza di riparazione (si veda per esempio l’episodio di Zaccheo: Lc 19,8) – e della conversione è la vera gioia e non il fremito di un’euforia passeggera, è una gioia intima, profonda e segreta che nasce da un rapporto nuovo con Dio che ci fa persone rinate, completamente nuove. L’avvenimento della resurrezione di Cristo – non una dottrina o una religione, ma un fatto e i fatti non si discutono, in quanto semplicemente sono – è il mistero centrale della nostra fede e san Paolo lo afferma senza riserve, e quasi sembra urlarlo: “Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Cor 15,14). Questa verità ha segnato la vita dei Santi come Caterina, ma quanti oggi tra i cristiani credono che Cristo è veramente risorto ed è vivo, che in questo momento siede alla destra del Padre, e che a Lui possiamo rivolgerci nella certezza che ci ascolta ed è presente nella nostra avventura su questa terra? Emblematico è al riguardo l’episodio raccontato dal card. Giacomo Biffi, durante la visita alla parrocchia di san Petronio a Castel Bolognese, risalente a quando era parroco nell’Arcidiocesi di Milano. Durante una catechesi illustrò la verità del mistero della resurrezione di Cristo e del fatto che Egli è attualmente vivo. Al termine una signora gli si avvicinò per assicurarsi di avere capito bene. Ricevendo la conferma andò via di corsa borbottando che allora doveva comunicare la cosa a suo marito. Qualche giorno dopo la signora ritornò riportando la reazione del coniuge: “Forse avrai capito male, ma se è vivo, allora cambia tutto”[4].

Sempre il card. Biffi, in alcune sue omelie pronunciate nella solennità di Pasqua, evidenziava che alla fine, l’interrogativo se Cristo è veramente vivo, si pone ancora oggi ad ogni donna e ogni uomo che non abbia rinunciato a trovare il senso del suo essere e del suo agire. Noi che celebriamo la Pasqua cristiana, dovremmo essere coscienti che il Crocifisso del Golgota è veramente, realmente, corporalmente vivo e questo fatto dovrebbe incidere inevitabilmente sulle nostre esistenze. Seguendo le testimonianze dei Vangeli il giorno della Pasqua è scandito da un susseguirsi di improvvise comparse del Crocifisso redivivo, che si mostra splendido di gloria ed esuberante di vitalità nuova: si mostra a Pietro, ai due viandanti di Emmaus, agli apostoli radunati. Sicché alla fine tutti devono proprio convincersi: quel Gesù di Nazaret, che, dissanguato, inerte, collocato in un sepolcro chiuso da una pesante pietra sigillata (cf Mt 27,60;66), è risorto ed è vivo. È stata per tutti loro un’esperienza emozionante, convulsa ma piena di gioia: una certezza indubitabile a cui non è stato possibile non arrendersi, un mutamento totale e decisivo della loro esistenza. Tutto è cambiato per loro! Erano stati, fino a quel giorno, un gruppo di uomini ignoranti, opportunisti e timorosi; e improvvisamente diventano gli araldi inarrestabili dell’unica notizia che davvero ha segnato una svolta nella vicenda umana. Dare a tutte le genti una lucida e appassionata garanzia di questo evento: d’ora in poi questo, solo questo, sarà il significato e lo scopo della loro vita, fino all’ultimo respiro e fino all’ultima goccia di sangue che per tale testimonianza essi saranno chiamati a versare. Si rendono ben conto che non soltanto il loro personale destino, ma anche l’intera storia dell’umanità con la risurrezione di Cristo ha acquisito una dimensione nuova e un nuovo valore. Questo vogliono dire le ultime parole del Signore, tra le più alte e pregnanti del N. T. e che noi dovremmo richiamare ogni giorno alla nostra memoria e alla nostra stupita contemplazione: “Ecco, io sono con voi tutti giorni sino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Esse sono una sintesi mirabile non solo dell’annuncio pasquale, ma di tutta la nostra fede. Gesù con questa frase si presenta a noi come colui che “… risuscitato dai morti non muore più: la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9); e anzi come colui che, essendo colmato della pienezza della divinità (cf Col 2,9), domina e riempie di sé tutto il trascorrere dei nostri anni fuggevoli e le varie età che inarrestabilmente si succedono. In quelle parole si rivela anche la natura vera della Chiesa: essa – per quanto sia fatalmente rivestita della nostra povertà e della nostra debolezza che la immiseriscono – è sempre “… la città posta sulla cima del monte” (Mt 5,14). Perciò, avendo con sé il suo Signore, non si preoccupa troppo delle ostilità, delle incomprensioni, dei giudizi malevoli che immancabilmente le vengono riservate dalle diverse potenze mondane. “Io sono con voi tutti i giorni”: questa promessa del Risorto, se è presa sul serio in un’assidua meditazione, ha la virtù di fugare dal nostro animo ogni avvilimento, ogni pessimismo, ogni paura. Su questa promessa – che è data a tutti e segnatamente vale per la Chiesa che è chiamata ad affrontare le tempeste della storia e delle follìe umane – si fonda e si mantiene l’imperturbabile serenità del credente, se però si lascia illuminare e riscaldare dalla Pasqua di Cristo. Alla luce di questo convincimento, possiamo ben capire (e soprattutto ‘contemplare’) la ragione della perenne giovinezza del messaggio di Gesù crocifisso e ritornato alla vita, e al tempo stesso la ragione del crollo immancabile di ogni ideologia che di volta in volta tenta di risolvere i problemi e di alleviare le angosce degli uomini senza credere e vivere nella luce della resurrezione di Cristo.

Allora il ‘fatto’ della resurrezione di Cristo sfida la nostra logica e le nostre categorie umane chiedendoci di non accontentarci di credere a Dio, come a chiunque ci comunichi delle informazioni più o meno convincenti e che alla fine ci lasciano indifferenti, ma di credere in Cristo che mi rivela il cuore di un Dio che è amore (cf 1 Gv 4,16) e per il quale allora si comprende l’affermazione di san Paolo che dovrebbe essere anche la nostra scelta di vita: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Questa è anche la sfida che in quest’anno in cui ricorre il XXV della proclamazione di santa Caterina a Compatrona d’Europa – fatta da san Giovanni Paolo II il 1° ottobre 1999 – dovrebbe essere lanciata alla società europea. Invitando il ‘vecchio Continente’ – non soltanto per tradizione, ma anche perché oggi gli anziani sono sempre di più la maggioranza, con tutto quello che questo purtroppo significa, arrivando ormai all’incredibile con l’inclusione del ‘diritto di aborto’ nella Costituzione francese, a rassegnarsi ad essere decrepita e sterile – a riconoscere le proprie ‘radici cristiane’ e quindi la propria identità che non è possibile misconoscere, come non è possibile non riconoscere di essere figli dei propri genitori. Al riguardo notava giustamente il santo pontefice che: “Non c’è dubbio che, nella complessa storia dell’Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, […] La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell’evangelizzazione, [… per questo è vitale che] Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo dato, e i cristiani sono chiamati a prenderne rinnovata coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno il dovere di offrire alla costruzione dell’Europa uno specifico contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo”[5]. Questo nonostante che: “La cultura europea prevalente di questi due ultimi secoli – nelle diverse forme di razionalismo, socialismo, radicalismo, laicismo – può essere tutta connotata dal tentativo di salvare le virtù ‘sociali’ del cristianesimo separandole dal fondamento trascendente che è loro assegnato dal messaggio evangelico; quindi: uguaglianza ma non necessariamente fondata sull’identità del Creatore che è all’origine di tutti gli uomini; libertà, ma non come frutto della redenzione operata dal Figlio di Dio; fraternità, ma non come logica conseguenza dell’esistenza di un Padre comune – perché di fatto esse sono delle – ‘mutilazioni’”[6] che non riescono a rinnegare la storia e a rifiutare la realtà. Di fatto fu “Instancabile fu l’impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa. Additando ‘Cristo crocifisso e Maria dolce’ ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione. Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Di qui l’urgenza della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro ‘proprietà’: consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di mantenervi ‘la santa e vera giustizia’, facendosi ‘padri dei poveri’ (cfr Lettera n. 235 al Re di Francia). L’esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica (cfr Lettera n. 357 al re d’Ungheria)”[7]. Intendendo in questo modo il vero cambiamento, la vera ‘rivoluzione’ per la persona e per ogni società di ogni tempo e di ogni luogo, per noi, in modo particolare, nel nostro continente europeo. Una ‘rivoluzione’ che, secondo un noto scrittore francese, dovrà essere chiaramente connotata: “La révolution sociale sera morale, ou elle ne sera pas”[8], convinto però che la morale o sarà quella cristiana o non sarà.

Con queste finalità si è chiesto al card. Péter Erdő, Primate d’Ungheria – un Paese che è nel cuore dell’Europa – e dal 2006 al 2016 Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), di scrivere l’articolo che segue, sui rapporti che la Santa senese ha avuto con i sovrani di quella nazione. Inoltre, in questo numero ci sarà anche un articolo e una preghiera alla nostra Santa a cura del card. Angelo Comastri, ma anche nei successivi numeri della rivista di quest’anno, avremo tutta una serie di articoli scritti da diversi successori degli Apostoli affinché confermino, ogni fedele e siano di sprone per ogni cittadino europeo, a credere e a conformare la propria vita a Cristo “Resurrezione nostra” e nostra unica e vera speranza. Questo è, carissimi lettrici e lettori de “La Patrona”, l’augurio che si fa preghiera, da parte di tutta la nostra Redazione, per questo tempo di Pasqua, perché ognuno creda e viva alla luce di questo avvenimento straordinario che c’invita a cambiarci per cambiare in meglio l’Europa e il mondo, cioè che Χριστός Ανέστη – Αληθώς Ανέστη (Christòs anèsti – alithòs anèsti): Cristo è risorto – È veramente risorto! È questo fatto, non un’ipotesi o una dottrina, che, in ogni caso e a prescindere da tutti, cambia veramente tutto.


* In anteprima l’Editoriale che sarà pubblicato in “La Patrona d’Italia e d’Europa Santa Caterina da Siena” (2024/1).

[1] S. Caterina da Siena, Le Orazioni, a cura di G. Cavallini, Roma 1978, p. XII.

[2] “Ogni sofferenza che può servire, ogni sofferenza che serve è sorella della sofferenza di Gesù Cristo; è la figlia della sofferenza di Dio; è la stessa sofferenza di Gesù Cristo” scriveva C. Péguy (in https://www.babelio.com/livres/Peguy-Oeuvres-poetiques-completes/32439, consultato l’8-III-2024). Concetto che si trova spesso parafrasato in modo più incisivo con: Cristo non ci libera dalla sofferenza, ma dal soffrire inutilmente.

[3] Nell’A.T. la conversione è legata al termine ebraico shub (‘ritornare’, in ambito religioso, allontanarsi dal male per ritornare a Dio). Nel Nuovo Testamento i due termini principali greci connessi a questo concetto sono (epi-)strépho (= shub) e metanoéo. Cristo ha sempre usato quest’ultimo che indica più che un aspetto morale, un modo completamente diverso di pensare e vedere la realtà (cf Mc 1,15).

[4] G. Biffi, Se Cristo è risorto ed è vivo cambia tutto, a cura di E. Ghini, Castel Bolognese 2021, p. 9.

[5]Giovanni Paolo II, Lett. Ap. M. P. Spes aedificandi, 1, 1°-X-1999, in https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/motu_proprio/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_01101999_co-patronesses-europe.html, consultato l’8-III-2024. Da ora in poi SA.

[6] G. Biffi, Se Cristo è risorto …, p. 42.

[7] SA, 6-7.

[8] C. Péguy, Pensées, Paris 1934, p. 16. Evidentemente, era ciò che intendeva Péguy, che però Mounier ha chiarito e che Esprit, la rivista da lui fondata nel 1932, s’incaricherà di ripetere, di diffondere, di spiegare.


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