LA PRESENZA DEI DOMENICANI A SIENA: TRA IL CARISMA DEL FONDATORE E LA MISSIONE DELL’ORDINE

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LA PRESENZA DEI DOMENICANI A SIENA: TRA IL CARISMA DEL FONDATORE E LA MISSIONE DELL’ORDINE

Sala del Capitolo – Chiostro del Convento san Domenico – Siena

Mercoledì 31 maggio 2023, ore 16.00

Di seguito il testo integrale dell’intervento che si pubblica nel giorno della Festa della Repubblica Italiana.

Saluti, ringraziamenti e comunicazione sullo svolgimento del programma

A nome della Comunità domenicana di san Domenico sono onorato di dare il mio più sincero benvenuto e saluto cordiale a S. E. il Prefetto di Siena, Dott.ssa Matilde Pirrera, e ringraziarla per aver voluto iniziare i festeggiamenti per i Settantasette anni della Repubblica Italiana proprio da questa Basilica Cateriniana di san Domenico. Inoltre saluto cordialmente: il Vice Prefetto, Dott.ssa Immacolata Amalfitano, il Capo di Gabinetto del Prefetto, Dott. Francesco Piano, insieme agli altri componenti del Gabinetto del Prefetto; il Rettore dell’Opera del Duomo di Siena, il prof. Giovanni Minnucci che è un amico e collega d’insegnamento da tanti anni; il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza, Col. Giuseppe Marra; il Comandante della Compagnia di Montepulciano dell’Arma dei Carabinieri, Magg. Angelo Aliberto, delegato dal Comandante Provinciale; il Direttore della Pinacoteca Nazionale di Siena, Dott. Axel Hémery, che ringrazio per aver concesso, in tempi brevissimi per la nostra burocrazia, il ritorno della statua di san Tommaso d’Aquino in questa Basilica in questa occasione; il Rettore della Basilica di san Francesco in Siena, P. Alfred Parambakathu, O. F. M. Conv.; il Provveditore della Misericordia di Siena, Dott. Paolo Almi, insieme ai volontari presenti e a quelli che hanno trasportato la statua di san Tommaso con professionalità e una incredibile disponibilità; la Priora della Fraternità domenicana, Dott.ssa Giovanna Borgogni e i membri della Fraternita; la Presidente dei Caterinati, Dott.ssa Franca Piccini insieme con il Tesoriere, Dott. Franco Sestini, che ringrazio in particolare per aver predisposto l’occorrente per le proiezioni; tutti quanti voi, parrocchiani, signore e signore che nonostante il temporale avete voluto essere presenti.

Un saluto particolare va inoltre al prof. Alessandro Bagnoli, che è stato uno storico dell’arte addetto alla tutela e alla conservazione del patrimonio artistico per conto della Soprintendenza di Siena e dal 2001 insegna queste stesse materie al Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali all’Università degli studi di Siena, che non solo ha accettato l’invito a prendere parte al presente evento, ma ne è stato senza dubbio il competente regista.

Programma:

P. Bruno Esposito, O. P.: La presenza dei domenicani a Siena: tra il carisma del Fondatore e la missione dell’Ordine.

P. Alfredo Scarciglia, O. P.: Santa Caterina e la sua spiritualità.

Prof. Alessandro Bagnoli: L’architettura della Basilica di san Domenico e Presentazione di un’opera che rappresenta san Tommaso d’Aquino in occasione degli anniversari della sua morte (1274 – 7 marzo – 2024) e della sua canonizzazione (1323 – 18 luglio – 2023).

Visita alla Basilica guidata dal Prof. Bagnoli.

Premessa

                Anche se è evidente che la scelta d’inserire questa Basilica di san Domenico, nelle iniziative per la celebrazione dei Settantasette anni della nostra Repubblica, è stata data dal fatto che essa fa parte dei beni del Fondo Edifici di Culto, e ha avuto e continua ad avere senz’altro un suo ruolo per lo sviluppo del territorio – ovviamente primariamente per le persone che vi hanno vissuto e vi vivono. Ma per cogliere detta funzione occorre conoscere, almeno a grandi linee, ciò che l’ha originata. Per questo motivo abbiamo pensato, nell’organizzare questo momento, di premettere alla presentazione della Basilica dal punto di vista architettonico ed artistico, due brevi illustrazioni del carisma domenicano e della spiritualità di santa Caterina da Siena, che nella Cappella delle Volte di questa attuale Basilica si è formata ed è cresciuta spiritualmente grazie proprio alla predicazione dei figli di san Domenico. Sicuri che senza tali introduzioni, quanto ascolteremo e vedremo riguardo alla bellezza di questa Basilica e delle opere d’arte che custodisce, risulteranno non pienamente comprensibili, se non addirittura inspiegabili: è vitale ritornare sempre alle radici!

I domenicani arrivarono a Siena per qualcuno il 1217[1], mentre per altri il 1220[2], accompagnati dal loro Fondatore, presso l’Ospizio della Maddalena, vicino la Porta di san Maurizio. Qui si pone già una prima domanda: perché Siena? Il criterio seguito da Maestro Domenico nell’aprire le prime comunità del suo Ordine, recentemente riconosciuto dalla Chiesa, fu quello di privilegiare le sedi universitarie. Per questo abbiamo le fondazioni di Bologna e di Parigi dove i frati frequentavano le università, luogo della ricerca e della trasmissione della verità, contesto e ambiente privilegiato se non unico, che i medievali coltivarono nel loro continuo intento di coniugare la ragione con la fede, dove però nel coro delle scienze la teologia aveva uno stallo privilegiato, in quanto permetteva l’acquisizione della vera e perenne ‘sapienza’, e non solo la mera conoscenza nozionistica, nella consapevolezza che questa si dà solo alla luce della Rivelazione (cf 1 Cor 2,6-10).

Anche se l’Università a Siena sarà fondata solo nel 1240, la vivacità economica di tipo mercantile[3] e politica di questa ridente città della Toscana fecero intravvedere a Domenico le molteplici sue potenzialità e per questo, sicuramente, la scelse come sede di una delle sue prime fondazioni dedicate alla missione di annunciare la verità liberante del Vangelo.

Solo nel 1225 i domenicani ricevettero un terreno in donazione, nella zona di Camporegio, da Fortebraccio Malavolti e i lavori di costruzione della chiesa – chiamata in un secondo momento ‘chiesa vecchia’ dopo che fu deciso l’ampliamento con la costruzione dell’attuale transetto (1300) – iniziarono nel marzo del 1225[4] per ‘terminare’ solo nel 1262[5]. Quindi nel 2025 saranno ottocento anni dalla posa della prima pietra!

Infatti, dopo l’espulsione dei domenicani – non graditi a Pietro Leopoldo Granduca di Toscana – verso il finire del sec. XVIII e l’affidamento del complesso ai Benedettini Cassinesi, sembra fino al 1916[6], i primi vi ritornarono nell’ottobre del 1923 in seguito alla formale richiesta all’Arcivescovo di Siena in quegli anni, S. Ecc. za mons. Prospero Scaccia, da parte dei domenicani della Congregazione di san Marco di Firenze (in concreto solo tre religiosi). Questi presero giuridicamente carico della custodia della Chiesa esattamente il 22 agosto del 1924[7]: quindi il prossimo ottobre saranno cento anni dal ritorno dei domenicani a san Domenico e nel 2024, cento anni del riaffidamento a loro, da parte della Diocesi, della custodia della chiesa monumentale per lo svolgimento delle funzioni liturgiche. In ultimo, nel 1925 il papa Pio XI elevò la chiesa a Basilica minore[8], in quanto vi è custodita dal 1383 la Sacra Testa di santa Caterina, insieme ad altre insigni reliquie: quindi nel 2025 saranno appunto cento anni! Quindi abbiamo i seguenti anniversari:

1923 – ottobre – 2023: Cento anni dal ritorno a Siena dei domenicani.

1924 – 22 agosto – 2024: Cento anni dal legale affidamento ai domenicani della Congregazione di san Marco di Firenze del complesso monumentale da parte della Diocesi.

1225 – marzo – 2025: Ottocento anni dalla posa della prima pietra della “Chiesa vecchia”.

1925 – 8 luglio – 2025: Cento anni dell’elevazione a Basilica minore.

         Proprio alla luce di questi avvenimenti, si è pensato, come già accennato, di dedicare questa prima parte del nostro incontro a presentare alcuni aspetti dell’Ordine domenicano alla luce del carisma del suo Fondatore e quindi della sua missione verso le donne e gli uomini in questi più di ottocento anni dalla fondazione dell’Ordine (Onorio III con le Bolle del 22 dicembre 1216 e del 21 gennaio 1217). Allora diamo qualche flash sulla vita di Maestro Domenico.

Domenico: dall’esperienza dell’amore di Dio al servizio della Verità per le persone

A Bologna il 6 agosto 1221 Domenico di Guzman, a soli cinquantuno anni (nato nel 1170 a Caleruega – Vecchia Castiglia), cessava di vedere lo scenario di questo mondo ed i suoi occhi si aprivano alla visione – nell’incontro come ha scritto Benedetto XVI – di Colui che l’aveva afferrato e destinato per una missione che mai avrebbe immaginato. La Chiesa, dopo relativamente pochi anni, ne riconobbe l’eroicità delle sue virtù e lo propose come modello e intercessore per noi, ancora pellegrini sulla terra. Infatti, fu canonizzato da Papa Gregorio IX, che fu legato a lui in vita da una profonda amicizia quando ancora era il card. Ugolino dei Conti di Segni, il 13 luglio 1234 nella Cattedrale di Santa Maria Assunta a Rieti.

Tutta la vita di Domenico, in un certo senso, potrebbe essere riassunta attraverso i tre verbi greci che esprimono le modalità e i livelli di profondità del vedere (molteplicità di significato che non abbiamo in italiano), dimostrando così di non essere un ‘visionario’, ma un uomo che coglieva la realtà in quanto vedeva con gli occhi della ragione e della fede allo stesso tempo, sempre però consapevole che solo con la fede avrebbe visto ciò che ai soli occhi materiali non è dato vedere. Infatti, durante la sua vita egli ha verificato (βλέπω= blépō) la situazione di profonda crisi in cui versavano le donne e gli uomini dei suoi tempi e della stessa Chiesa; ha intravisto (θεωρέω=theoreo) riflettendo e pregando, le cause di detta crisi nella confusione che dilagava a tutti i livelli, arrivando a confondere il vero con il falso, il bene con i suoi surrogati, il piacere e il benessere; ma solo nella fede e con fede ha visto le necessità vere delle persone (ὁράω=orao), facendo così l’esperienza del Cristo risorto, come i discepoli e l’apostolo Tommaso (cf Gv 20, 19; 29), che hanno visto con lo sguardo della fede, il solo che può vedere ciò che è reale, ma che la sola ragione non può verificare.

Infatti, Domenico avendo fatto nella sua vita l’esperienza del Risorto e del senso della vita in relazione al suo fine, non ha avuto paura di raccogliere le sfide che il suo tempo gli lanciava, non si è arroccato e barricato di fronte al mondo ed ai suoi errori o alle ingannevoli auto-convinzioni, ma è stato testimone umile, credente fedele e quindi credibile della Verità, non come una vuota e arida teoria, ma di quella somma Verità che è Dio, quel tutto in riferimento al quale solamente è possibile intravvedere le ragioni di tutto il resto, la funzione e il senso di ogni singola parte. Domenico ha vissuto con questa fede e: “Quando uno è convinto che Dio esiste ed è Padre e approdo di tutti gli esseri, e che Gesù Cristo è risorto, [ed ora è il vivente alla destra di Dio Padre] primizia della nostra vittoria, non può non essere allegro nel profondo del suo essere, per quanto male gli vadano le cose e per quanto deludente gli possa sembrare la cristianità[9].

Quindi, Domenico non si è limitato a guardare, ma ha visto le attese delle persone con lo sguardo della fede, il solo che permette di vedere il reale al di là della sua verificabilità. Questa esperienza viva ha motivato la sua convinta e profonda compassione (il patire con) per le persone che ha incontrato, specialmente ‘sui sentieri e ai crocicchi’ di quel cammino spesso irto e impervio che è la vita umana. Questa attenzione particolare all’altro, gli ha permesso di non limitarsi a ‘incrociare’ le persone che incontrava, ma ad andare loro incontro.

Già nel gesto di vendere tutti i suoi beni e soprattutto le preziose pergamene (non essendoci ancora i libri a stampa …, cosa che solo un intellettuale può comprendere), in favore dei poveri, prime vittime della carestia a Palencia (a. 1191 ca.), ci si rivela la generosità del cuore che batteva in Domenico: un cuore compassionevole, sensibile e quindi disponibile. A chi gli chiede stupito le ragioni di un simile gesto, Domenico risponde con spontaneità: “Come posso studiare su pelli morte mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”. Con la ragione e la fede prese la decisione giusta agendo in modo eccezionale di fronte a una emergenza, rispondendo in modo straordinario ad una situazione straordinaria, nella consapevolezza che in quel momento era chiamato a essere strumento della tenerezza di Dio, in modo concreto senza nessun comodo ed opportunistico rinvio o delega, seppure a Dio stesso (cf Mt 14, 16). Una concreta lezione per ciascuno di noi: non rimanere chiusi, non rimanere fermi a guardare, ma a vedere e agire di conseguenza, disponibili e sempre aperti a Dio e ai bisogni del prossimo hic et nunc! (cf Lc 10, 33).

Però, il resto della sua vita ci dice che la forma tipica, ‘ordinaria’ della sua attenzione alle sorelle ed ai fratelli del suo tempo sarà la carità della verità. Egli era cosciente che gli uomini, anche se non sempre se ne rendono conto, hanno bisogno della verità come dell’aria e del cibo, della verità che salva, della Verità che si è rivelata nella pienezza dei tempi con Cristo (cf Mt 4, 4). Perché la verità non è un lusso, non è l’hobby superfluo di gente sfaccendata, non è un ‘sopramobile’ di abbellimento, non è stata la mania culturale del Medio Evo, ormai fuori moda. La verità è ciò che consente all’uomo di realizzarsi come uomo, di non tradire la sua dignità e quella del prossimo (iscritta nel cuore dell’uomo dal Creatore: cf Is 29,16; Rm 9,20-21; GS 16), di raggiungere il proprio destino e sfuggire all’amarezza frustrante dell’insignificanza e della depressione che è causata spesso proprio dalla mancanza di senso della propria esistenza. La carità della verità e la verità della carità (cf Ef 4, 15) è il messaggio di Domenico, il più alto e il più attuale di tutti e valido per tutti i tempi, in quanto destinato a nutrire ciò che non perisce, che è eterno (Gv 17,3: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”). Verità e onestà che sono oggi, forse come non mai, spesso latitanti, iniziando proprio dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità/associazioni/raggruppamenti civili, religiosi ed ecclesiali. Questo, però, non deve ‘rubarci la speranza’, così come le circostanze caotiche del suo tempo non impedirono a Domenico di vivere e sperare contro ogni speranza (cf Rm 4,18). La carità della verità che non risente delle paure per le novità, ma neppure della cultura dominante o del pensiero della maggioranza, e quindi non si arrocca, non s’impone, ma si propone sempre e comunque, costi quel che costi, prima di tutto con chi ci è più prossimo (cf Mt 19, 21; At 5, 29). Proprio la verità, coniugata alla carità verso il prossimo, ha sempre portato Domenico a non guardare alle distanze che lo separavano da chi non la pensava o non si comportava come lui, che non aveva la stessa fede religiosa, ma a percorrerle per andare incontro all’altra/o, senza attendere o pretendere che questi facesse il primo passo[10].

Il Vescovo, successore degli Apostoli all’origine della missione di Domenico e della sua attenzione alla chiesa e alla società locale, parti della Chiesa e dell’umanità

È proprio la piena e convinta comunione di questo figlio della Chiesa col suo Vescovo, a portarlo a fondare uno degli Ordini religiosi più importanti e significativi per la Chiesa cattolica. Infatti, non è stato forse sottolineato a sufficienza che non fu Domenico a prendere l’iniziativa di lasciare la sua Cattedrale ad Osma, dove svolgeva il suo ministero ricoprendo l’ufficio di canonico e sotto priore del Capitolo, ma egli, semplicemente, seguì il suo Vescovo (Diego d’Acebo o Acevedo) che decise di associarlo a sé nella missione in Danimarca (a. 1202/3). Successivamente, quando Domenico arriva a Tolosa e con il dialogo con l’oste eretico, prende atto che l’uomo non è contro Dio, ma contro un’idea sbagliata di lui che si è fatto o che altri hanno contribuito a formare, percepisce la necessità di una predicazione che sia soprattutto fatta con la testimonianza e fondata nella vita contemplativa – intesa quale rapporto gustoso e personale nella relazione con Dio – e forse solo in quel momento inizia a intuire, a capire qualcosa. Di fatto anche a Tolosa Domenico collaborò come missionario in Linguadoca per dieci anni (1206-1216) col vescovo locale, Folchetto di Marsiglia.

Quindi, coniugando gli avvenimenti, le circostanze, le persone con la fede, continuando così di fatto l’economia dell’incarnazione, Domenico fonderà però prima le monache e poi non degli specialisti della comunicazione, degli oratori, dei professori, ma l’Ordine dei frati ‘predicatori’: persone che non si sono scelte, vengono da culture diverse e umanamente non hanno molto in comune, ma sono stati chiamati da Dio e si sentono coinvolti da protagonisti in un progetto che l’impegna a vivere il quotidiano, oltre che con le virtù cardinali, in special modo, con le virtù teologali.

Domenico, gettatosi con entusiasmo nell’attuazione di questo progetto tutto apostolico/episcopale, si ritrova al centro di una grande impresa, che verrà da lui continuamente modellata e sviluppata, tanto che tutti la riconosceranno come frutto della sua docilità all’azione dello Spirito Santo. Conformazione continuata anche dopo la sua morte, quando, per esempio, l’Ordine obbedì al Papa Sisto IV, attualizzando il carisma del Fondatore alle esigenze attuali della missione in favore del popolo di Dio, che imponeva ai frati di accettare le donazioni a livello comunitario e quindi dispensava la comunità dal divieto di avere delle proprietà (cf Bolla Nuper, 1°-VII-1475).

Quindi, proprio dalla comunione con il suo vescovo, Domenico è stato stimolato a scoprire il carisma che lo Spirito Santo gli donava (mettendo così insieme, di fatto, istituzione e carisma, Chiesa dello Spirito e Chiesa del diritto in quanto lo stesso Spirito guidava lui e il vescovo) con la sua identità, tipicità, genialità spirituale e la sua straordinaria missione, sempre nella e per tutta la Chiesa. Scoperta che è stata proseguita lungo il tempo del suo Ordine nell’attuare il carisma e la sua missione nella continua ricerca di cosa lo Spirito suggeriva per il bene del popolo di Dio. Tutto è verificabile nei più di ottocento anni di vita dell’Ordine, soprattutto nella schiera innumerevole di sante e di santi che ha dato alla Chiesa e alla società civile con il loro apporto al bene comune della società. Siena ne è una eloquente testimonianza oltre che con santa Caterina, anche con il beato Ambrogio Sansedoni, e Caterina Lenzi che visse qui vicino nel Monastero in via del Paradiso, e tanti altri.

Conclusione

San Domenico ha dato vita ad una grande famiglia composta dai frati, dalle monache, dalle suore e dai laici, che come ogni famiglia ha avuto figure e momenti per cui elevare un sincero grazie a Dio (tra i tanti ricordo per es., oltre che ovviamente san Tommaso d’Aquino, santa Caterina da Siena: la scuola di Salamanca con la difesa dei diritti degli Indios, il beato Giuseppe Girotti, morto da testimone della fede a Dachau il 1°-IV-1945, Giorgio La Pira e il suo impegno per la pace e i poveri, e tanti altri che è impossibile elencare). Allo stesso tempo si sono date persone e avvenimenti per cui chiedere perdono in quanto si è tradita la propria vocazione e la volontà di Dio (come per es.: l’asservimento al potere durante l’inquisizione spagnola; l’usare l’autorità religiosa per esercitare un potere arbitrario a sfregio della giustizia ovvero quando si è rinunciato ad annunciare il Vangelo per paura dell’impopolarità).

Morendo Domenico promise ai suoi figli: “Vi sarò di aiuto più dal cielo che dalla terra” (O Spem Miram, Responsorio della Festa risalente al 1236). Promessa della quale si può verificare la realizzazione attraverso le testimonianze di coloro che lo conobbero personalmente e furono conquistati dalla sua fede e dalla sua coerenza di vita come il b. Reginaldo d’Orleans e il b. Giordano di Sassonia. Al primo, che era stato un famoso docente di diritto all’Università di Parigi, prima di farsi domenicano, un giorno venne chiesto: “Per caso non provate qualche rimpianto, Maestro, per aver preso quest’abito? E lui abbassando la testa, rispose: ‘Io credo di non essermi fatto alcun merito vivendo in quest’Ordine, perché vi ho sempre trovato troppa gioia’”. Il secondo, che fu successore di Domenico nella guida dell’Ordine, in questi termini sintetizzò il carisma domenicano: “Vivere onestamente, imparare ed insegnare”.

         Dante definì Domenico l’atleta di Dio (Paradiso XII, 54), ma allo stesso tempo egli fu, in un certo senso e volendo rimanere nella terminologia sportiva, anche un ottimo ‘allenatore’ nei confronti di coloro che lungo i secoli fecero proprio il suo carisma e il suo ministero attraverso la missione. In modo particolare lo fu, nei primi due secoli successivi alla sua morte, nei confronti di due ‘campioni’ della teologia e della spiritualità cristiana: san Tommaso d’Aquino e santa Caterina da Siena.

San Tommaso (1225-1274), del quale quest’anno ricorrono settecento anni dalla canonizzazione e il prossimo anno, settecentocinquanta anni dalla morte, ha infatti magistralmente riassunto il carisma e la missione dei domenicani nel famoso contemplari et contemplata aliis tradere[11]Egli ha vissuto in pienezza il carisma della carità della verità facendone lo scopo della sua vita quale vero e proprio ‘missionario della verità che libera’. Con perseveranza si è impegnato a coniugare sempre la ragione con la fede, certo che esse sono come delle ali per arrivare alla Verità e che questa, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo[12]. Tutto questo con il solo fine di coltivare e preservare l’unione con Dio e la comunione con i fratelli, sempre con la sola preoccupazione di realizzare tutto nella perfetta carità (cf Os 6, 6; Col 3, 14).

Santa Caterina da Siena (1347-1380) ebbe una speciale venerazione per san Domenico e ne Il Dialogo riporta significativamente ciò che il Signore le disse a proposito di lui: “… prese l’ufficio del Verbo unigenito mio figliolo. Nel mondo pareva un apostolo, con tanta verità e lume seminava la parola mia, levando le tenebre e donando la luce. Egli fu un lume, che io porsi al mondo per mezzo di Maria”. Di questo ‘ufficio’ e di questa missione apostolica la Santa di Siena fu, nella sua breve vita, convinta testimone, per il bene delle anime – ma anche dei corpi! – delle persone che il Signore pose lungo il pellegrinaggio della sua breve ma intensa vita e che lei, come san Domenico, non si limitò a ‘incrociare’, ma andò loro incontro, senza escludere alcuno, dalla malata e ingrata consorella mantellata Andrea fino ai papi Gregorio XI e Urbano VI.

Per quanto qui sommariamente ricordato, possiamo prendere atto che il carisma domenicano non è stato sterile e questo luogo ne è una eloquente testimonianza.

Quindi, passo ora la parola al P. Alfredo che ci parlerà della spiritualità cateriniana, che in questa attuale Basilica, con la sua architettura e nelle opere arte che già conteneva, ha senz’altro avuto la sua ‘culla’ in quanto anche Caterina non si è limitata a ‘guardare’ (βλέπω= blépō) ma ha cercato sempre e con perseveranza di ‘vedere’ (ὁράω=orao) la realtà, possibilità che, santa Caterina come anche san Tommaso, hanno realizzato solo nella fede e con la fede nel Figlio di Dio che ci ha amati ed ha dato se stesso per noi (cf Gal 2,20).

Basilica Cateriniana di san Domenico, Siena, 2 giugno 2023 – Festa della Repubblica Italiana

P. Bruno, O. P.


[1] Tale datazione è indicata in un appunto, che fa parte dell’Archivio del Convento di san Domenico, di Ernesto Baggiani del 1948, intitolato: Cenni storici sulle origini della chiesa e del Convento di S. Domenico e sulla loro appartenenza ad Ordini Religiosi, p. 1. Da ora in poi citato: Baggiani.

[2] Cf P. A. Riedl – M. Seidel (a cura), Die Kirchen von Siena, vol. II/1, Monaco di Baviera 1992, p. 452. Anche se riporta come anno il 1221 bisogna intendere il1220 secondo il modo senese di computazione degli anni ab incanatione; A. Paganucci, La Basilica di San Domenico in Siena, Firenze S. D., p. 2

[3] Il XIII sec. vide lo sviluppo del Comune della Siena ghibellina in modo particolare nell’incremento della nuova figura dei mercanti, presenti in tutti i più importanti mercati dell’epoca. Fu di questo periodo la creazione della Gran Tavola da parte di Orlando Bonsignori, erede dell’omonima antica famiglia, che assume un’importanza di altissimo livello nel mondo finanziario – potremmo dire battistrada e precursore di quella che sarà poi la Banca dei Monti dei Paschi di Siena (1472) -, costituendo il maggior centro dell’epoca con succursali in tutte le capitali europee e andando a finanziare direttamente i Papi e le Corone di molte nazioni europee, influenzando l’esito di guerre e gli assetti geopolitici del tempo. Questa massa di profitti fece affluire a Siena, tradizionalmente di povera economia agricola, quelle risorse che permisero lo sviluppo della città.

[4] Cf Baggiani, p. 1. La data del 1225 è anche ricordata nella Lettera Apostolica di Pio XI, dell’8 luglio 1925, con il quale si decreta l’elevazione a Basilica Minore della chiesa di san Domenico (in AAS 18 [1926] 6-7).

[5] “All’inizio del 1300, e per molti anni, si lavorò al dirupo scosceso di Fontebranda per fondare e tirare sui muri di quella che fu detta la Chiesa nuova. Attorno al convento e alla chiesa sorsero numerose cappelle delle Compagnie laicali, oggi tutte distrutte […]. Nel 1467, per tornare alla storia generale di san Domenico, fu abbattuto il colossale diaframma che separava la vecchia navata dal transetto. Comparve allora, per opera degli architetti Ansano Orefice e Andrea Porina, l’ardito e maestoso arco ogivale, che desta ancora grande ammirazione. Il nuovo coro fu costruito da Pietro e Lorenzo di Lando nel 1367 (A. Paganucci, La Basilica …, pp. 2-3).

[6] “Dal 1225 al 1784 la Chiesa ed il Convento appartennero all’Ordine dei Frati Predicatori. […] Senonché, nell’anno 1916, in seguito ad alcuni dissensi verificatesi tra l’Amministrazione Comunale del tempo e i Monaci officianti, i Benedettini vennero nella determinazione di lasciare definitivamente il Tempio di S. Domenico […]. Il Comune affidò per qualche anno l’incarico della custodia ed ufficiatura ad un Sacerdote, ma poiché si rilevava qualche insufficienza, corsero trattative coll’Ordinario Diocesano e, raggiuntosi l’accordo […]. L’Arcivescovado, a sua volta, affidò il Tempio ai Padri Predicatori Domenicani, che vi fecero perciò ritorno quali officianti e stipulò colla loro Congregazione di S. Marco e Sardegna, sedente in Firenze, il 22 agosto 1924, una convenzione …” (Baggiani, pp. 6-7).

Però bisogna anche tenere presente il seguente contenuto di una lettera dell’Intendenza di Finanza di Siena, del 16 marzo 1904, al Comune di Siena: “Il Convento e la Chiesa degli ex Cassinensi di SAN DOMENICO di questa città furono ceduti a codesto Municipio con atto del 29 ottobre 1868 a termini dell’articolo 20 della legge 7 luglio 1866, e siccome il cessionario, per ragioni di arte e di Culto, aveva deliberato di tenere aperta ed ufficiata a sue spese la detta Chiesa, gli venne ceduta altresì l’uso dei mobili ed arredi sacri entrostanti. È stato ora rappresentato alla Direzione Generale del fondo per il Culto che per la ufficiatura della detta Chiesa, che si annovera fra le più vaste e delle più belle della Città, codesto Municipio cessionario corrisponderebbe al Rettore Sacerdote Benedetto Bindangoli Bivi un anno assegno di L. 650 …” (in Comune di Siena, Archivio, 17 marzo 1904, Prot. N. 12/9, XXI -III-6).

[7] Cf Baggiani, p. 7.

[8] Cf AAS 18 (1926) 6-7.

[9] G. Biffi, Se Cristo è risorto ed è vivo cambia tutto, a cura di E. Ghini, Castel Bolognese 2021, p. 135.

[10] Su questo aspetto tornano profetica le parole scritte da un grande Papa: “’Ma viene derisa la semplicità del giusto’ (Gb 12, 4 volg.). La sapienza di questo mondo sta nel coprire con astuzia i propri sentimenti, nel velare il pensiero con le parole, nel mostrare vero il falso e falso il vero. Al contrario la sapienza del giusto sta nel fuggire ogni finzione, nel manifestare con le parole il proprio pensiero, nell’amare il bene così com’è, nell’evitare la falsità, nel donare gratuitamente i propri beni, nel sopportare più volentieri il male che farlo, nel non cercare di vendicarsi delle ingiurie, nel ritenere un guadagno l’offesa subita a causa della verità. Ma questa semplicità del giusto viene derisa, perché la purezza d’intenzione è creduta stoltezza dai sapienti di questo mondo. Infatti tutto ciò che si fa con innocenza, è ritenuto da questi senz’altro una cosa stolta; e tutto ciò che la verità approva nell’agire, suona come sciocchezza per la sapienza di questo mondo” (San Gregorio Magno, Commento al libro di Giobbe, Lib. 10, 47-48; PL 75, p. 947).

[11] Summa theologiae, II-II, q. 188, a. 6: dare agli altri ciò che si è prima di tutto contemplato, ponendo così la vita contemplativa allo stesso tempo punto di partenza e d’arrivo per l’azione apostolica in quanto, afferma sempre il Dottore Angelico, maius est illuminare quam lucere solum, cioè è meglio illuminare che risplendere solamente.

[12] “Intimamente convinto che ‘omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est’(S. Th., I-II, 109, 1 ad 1, che riprende la nota frase dell’Ambrosiaster, In prima Cor 12,3: PL 17, 258) san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, 14-IX-1998,  n. 44).

La Comunità di san Domenico in Siena con la statua di SAN TOMMASO D’AQUINO (1225-1274: Canonizzato il 18 luglio 1323). Opera di uno scultore senese degli inizi del terzo decennio del Trecento, legno intagliato. Siena Pinacoteca Nazionale (l’opera proviene dalla Basilica di san Domenico in Siena).


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