La ‘Messa’ in sicurezza, responsabilità della Chiesa o dello Stato? Il Dpcm del 26 aprile 2020


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La ‘Messa’ in sicurezza, responsabilità della Chiesa o dello Stato? Il Dpcm del 26 aprile 2020


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Premessa

Ovviamente il titolo fa riferimento, cogliendo la possibilità di un gioco di parole, ad un medesimo termine, con due significati ben diversi: ‘Méssa’, sostantivo femminile, (dal lat. tardo, eccles., mĭssa, propr., part. pass. femm. di mittĕre ‘mandare, inviare’), tratto dalla formula di congedo ite, missa est); ‘méssa’, sostantivo femminile, (dal femminile sostantivato di messo, part. pass. di mettere). Questo a sottolineare da subito che ciò che eravamo abituati a riferire ad uno stabile, ad un ambiente di lavoro, ora sembra essere richiesto, al di là che venga usato il termine di ‘cerimonie’, per la massima celebrazione delle fede cristiana, che solo una persona di fede sa che non è possibile ridurre ad una cerimonia, ad un rito, ma è la sorgente, il culmine, il cuore, il ‘motore’ della vita cristiana (cf Lumen gentium, n. 11).

In una mia precedente riflessione riguardante la possibilità di uno Stato di limitare la libertà religiosa dei suoi cittadini (cf http://www.padrebruno.com/puo-lo-stato-limitare-la-liberta-religiosa/), mi sono limitato, dopo alcune doverose premesse, ad elencare i principi che dovrebbero guidare le decisioni di chi è stato designato al servizio di governare. Dopo aver ricordato, nei primi quattro principi, tra gli altri il dovere di uno Stato di regolare, soprattutto in casi di ‘eccezionalità’, l’esercizio (non il diritto naturale alla …), della libertà religiosa, nel quinto ribadivo, quasi ‘presagendo’ quello che sarebbe accaduto, che un tale dovere deve essere esercitato, per evitare ogni possibile forma o solo impressione di arbitrarietà, tenendo presenti vari fattori e circostanze. Prima di tutto il trovarsi o meno in una situazione eccezionale, com’è quella causata dall’attuale pandemia per il Covid-19, in secondo luogo, tenendo conto dei dati oggettivi della scienza ed applicando il principio di legalità ed osservando la gerarchia delle norme prevista dal proprio ordinamento giuridico.

Concludendo, ribadivo l’importanza di due punti fermi:

a) che questi tipo d’intervento tramite normative ‘speciali’ si applicano, solo ed esclusivamente, fino a quando perdura la situazione di eccezionalità. Le leggi di uno Stato hanno dei limiti nei confronti della legge/diritto naturale, in quanto una legge dello Stato che coartasse senza giusta causa la libertà naturale sarebbe irrazionale ed ingiusta (cf cf San Tommaso, Somma Teologica, I-II, q. 90, a. 4; I-II, q. 95, a. 2.);

b) solo dal rispetto dei ruoli di ciascuno (Comunità politica-Chiesa) e dall’equo contemperamento di diritti-doveri di ognuno, si potranno evitare scissioni o conflitti prima di tutto nella persona stessa: allo stesso tempo cittadino e fedele. Tutto questo, come sempre, presuppone onestà d’intenti, l’esercizio della virtù cardinale della prudenza e ‘sacchi di buon senso’ da parte di tutti, nessuno escluso.

Ciò ricordato, passo ad evidenziare, alcune incongruenze di carattere soprattutto giuridico (in riferimento alla procedura, alla forma ed alla sostanza) che a sommesso avviso di chi scrive, emergono nel Decreto del Presidente del Consiglio Italiano emanato in data 26 aprile c.a. ed in vigore dai prossimi 4-17 maggio (cf Dpcm, Art. 10). Essendo le motivazioni ed il fine del presente scritto, solo ed esclusivamente quello di essere un contributo affinché le persone anche sprovviste di una preparazione giuridica, arrivino ad un giudizio oggettivo, procederò offrendo, uno dopo l’altro i dati oggettivi di riferimento. Quindi di seguito presento: 1°) i passi del Decreto in oggetto che si riferiscono indirettamente o direttamente alle misure per contenere la diffusione del virus ed alla limitazione delle celebrazioni religiose; 2°) i passi della Costituzione della Repubblica Italiana che interessano la libertà religiosa e di culto ed il loro esercizio; 3°) le incongruenze e le contraddizioni in materia del Decreto. Infine, alla luce di quanto qui premesso e delle registrate incongruenze, proporrò alcune conclusioni e proposte. Ho deciso, anche se cosciente che ciò avrà effetti sulla lunghezza del presente testo, di riportare i vari passi del Decreto e della Costituzione integralmente, mettendo in grassetto i punti più salienti o controversi, per evitare al lettore continui rinvii alle fonti.

1°) Decreto del 20 aprile 2020

“Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull’intero territorio nazionale si applicano le seguenti misure:

a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie; […] d) è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici e privati; il sindaco può disporre la temporanea chiusura di specifiche aree in cui non sia possibile assicurare altrimenti il rispetto di quanto previsto dalla presente lettera; […]

i) sono sospese le manifestazioni organizzate, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura con la presenza di pubblico, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, quali, a titolo d’esempio, feste pubbliche e private, anche nelle abitazioni private, eventi di qualunque tipologia ed entità, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi è sospesa ogni attività; l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Sono sospese le cerimonie civili e religiose; sono consentite le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, con funzione da svolgersi preferibilmente all’aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; …”.

[…]

Art. 9 Esecuzione e monitoraggio delle misure1. Il prefetto territorialmente competente, informando preventivamente il Ministro dell’interno, assicura l’esecuzione delle misure di cui al presente decreto, nonché monitora l’attuazione delle restanti misure da parte delle amministrazioni competenti. Il prefetto si avvale delle forze di polizia, con il possibile concorso del corpo nazionale dei vigili del fuoco e, per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dell’ispettorato nazionale del lavoro e del comando carabinieri per la tutela del lavoro, nonché, ove occorra, delle forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali, dandone comunicazione al Presidente della regione e della provincia autonoma interessata.

2°) Costituzione della Repubblica Italiana (i numeri tra parentesi quadre si riferiscono ad altri articoli)

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [292,371,481,511, 1177], di razza, di lingua [6], di religione [8, 19], di opinioni politiche [22], di condizioni personali e sociali.

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [138].

Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume [8, 20].

Art. 20.Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività [8, 19].

3°) Le incongruenze e le contraddizioni del Decreto

            Dalla lettura dell’introduzione dell’Art. 1 e dell’Art. 10 si evince chiaramente che le varie disposizioni contenute nel Decreto sono finalizzate al contenimento della diffusione del virus in quella che è chiamata generalmente la ‘fase due’, dal 4 al 17 maggio. Alla luce dell’Art. 1, lettere a) e d) è chiaro che il limite invalicabile posto alle parziali riprese di attività ed incontri, è posto nel divieto di qualsiasi tipo di assembramento, dell’osservanza di almeno un metro di distanza e dell’uso di protezioni delle vie respiratorie. Lasciando ai sindaci la competenza per il rispetto di dette disposizioni. Arriviamo così al punctum dolens della lettera i). Innanzi tutto è importante distinguere le diverse fattispecie prese in considerazione:

1) le manifestazioni organizzate ed eventi di qualsiasi tipo, quindi anche religioso, svolte in qualsiasi luogo, privato o pubblico che sia, che continuano ad essere sospese;

2) l’apertura dei luoghi di culto rimane condizionata all’adozione di misure tali da evitare assembramenti di persone, giustamente indicando la relazione con lo spazio al fine di garantire, a chi si reca in detti luoghi, la distanza con le altre persone di almeno un metro;

3) le cerimonie civili e religiose continuano ad essere sospese ma, novità di questa ‘fase due’, sono consentite le cerimonie funebri con congiunti fino ad un massimo di quindici persone, “… da svolgersi preferibilmente all’aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; …”.

            Ovviamente quest’ultima fattispecie è quella che solleva non poche perplessità sia de facto che de iure. L’incongruenza massima si dà proprio nell’eccezione prevista per le ‘cerimonie funebri’, ora ammesse, in modo particolare per le modalità stabilite. Si stabilisce un numero massimo ‘assoluto’, di ‘congiunti’ che possono essere presenti. Cosa significa lo stabilire in modo materiale un numero massimo, mancando il coerente riferimento allo spazio che solo mi permette di conseguire il fine del distanziamento per evitare contagi? Perché quindici e non quattordici o sedici? È lo stesso se le quindici persone sono in una cappella di 100 m2 o 5.000 m2? Evidentemente no! Ugualmente dov’è la logica ed in base a quale diritto un Presidente del Consiglio con un suo Decreto, stabilisce che solo una ‘cerimonia funebre’ possa svolgersi e non una celebrazione di una santa Messa o di un altro sacramento? Gli articoli della Costituzione Italiana, che sono punto di riferimento e garanzia per ogni cittadino italiano, quindi prima di tutto di colui che esercita funzioni di governo, ci ricordano che tutti siamo uguali e che non ci deve essere nessuna forma di disparità di trattamento per sesso, convinzioni religiose o politiche, ma eventualmente solo applicando quanto richiesto dalla giustizia che riconosce a ciascuno ciò che gli appartiene. Onestamente questa dichiarata uguaglianza non sembra si sia realizzata ultimamente se con una Circolare del Ministero degli Interni si è permesso, cosa che non fa problema, le celebrazioni per il 75°anniversario della liberazione (cf https://www.interno.gov.it/sites/default/files/modulistica/circolare_festa_liberazione_2020.pdf), mentre neanche si è posta la possibilità di permettere la celebrazione della solennità che per un cattolico è il cuore della sua fede (cf A. Mantovano).

Conclusione

            Alla luce di quanto ho solo qui messo in risalto, è manifesta la classica scivolata su una buccia di banana del Decreto per quanto ha presunto di normare su materia che è di esclusiva competenza, parlando della Chiesa cattolica, delle sue autorità competenti. La Costituzione afferma in modo categorico che non lascia spazio a presunte ‘interpretazioni’, che: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani” (Art. 7). Ognuno è chiamato a svolgere l’esercizio delle sue funzioni rimanendo nell’ambito a cui appartiene. Per questo motivo la Chiesa che è in Italia con i suoi Pastori ha accolto senza battere ciglio, così dimostrando un indiscutibile spirito di collaborazione (forse troppo…), le disposizioni per il contenimento del virus, proprie della prima fase. Ora le circostanze sono cambiate ed i cambiamenti devono valere per ognuno anche se nel rispetto di tutti, quindi anche dei Vescovi che potranno decidere insieme con il presbiterio della propria diocesi, come gestire in concreto la possibilità data di celebrare. Altrimenti avremo un neo ‘giuseppinismo’ (politica ecclesiastica di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena attuata dal 1780 al 1790) ancora più anacronistico e triste del primo. Soprattutto un motivo di confusione in più, cosa di cui in questo momento, francamente, nessuno sente il bisogno!

Occorre nondimeno richiamare due principi giuridici, altrettanto fondamentali, e maggiormente ispirati al buon senso: la condotta del buon padre di famiglia, ed il concetto di parte più diligente. Quanto ho sopra esposto, difatti, non deve portare a contrapposizioni, o ad ‘accademicismi’ inutili sul piano fattuale, ma al contrario a condotte tanto prudenti quanto propositive e ralizzabili. Il buon padre di famiglia tiene alla salute del corpo e dello spirito dei suoi figli, e pertanto, per sbloccare la situazione, è preferibile che l’autorità ecclesiastica predisponga una proposta di bozza concreta e molto particolareggiata di protocollo di sicurezza che ab intra tuteli il diritto alla salute ed alla vita dei propri fedeli che si recano alle celebrazioni liturgiche, e ab extra fornisca anche sufficienti garanzie all’autorità governativa. Quanto al farsi parte diligente, come in ogni ordinamento giuridico, è opportuno che tale documento concreto, redatto in modo competente, e che contemperi ragionevolmente le esigenze del culto con quelle della salute, sia ben argomentato e proposto con istanze motivate. Eventuali dinieghi potranno essere eventualmente impugnati con gli strumenti del diritto. Senza assumere competenze non possedute dallo scrivente, salvo elementi di buon senso, si ritiene che dovrebbero essere previste regole almeno in merito alle chiese parrocchiali, al rapporto tra loro estensione e capienza massima, modalità di accesso, condotte all’interno, fissazione dei posti a sedere, modalità di distribuzione dell’Eucarestia, sanificazione, modalità di uscita, responsabile/i della sicurezza. Ciò non già perché una chiesa edificio debba essere parificata ad un esercizio commerciale, ma in quanto la Chiesa è chiamata ad essere una buona madre di famiglia, attenta ai suoi fedeli che sente e sono figli, alla loro salute, e calata in un contesto sociale dove ci si faccia parte diligente, nell’interesse anzitutto dei fedeli, e secondo le categorie dello Stato di diritto.   

            L’auspicio è quindi che si arrivi quanto prima ad un protocollo concordato, Governo Italiano e Conferenza Episcopale Italiana, per la fase due che riguarda i modi per potere riprendere la celebrazione pubblica dei Sacramenti. Nella consapevolezza che il credente ha, che “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). In modo particolare che si fissino i requisiti certi di sicurezza da parte del Governo e dei suoi esperti, ma lasciando ai Vescovi ed ai loro sacerdoti il come realizzarlo responsabilmente. Senso di responsabilità, buon senso che sono le condizioni senza le quali nessun Decreto o norma potranno sortire i loro effetti. Responsabilità che è richiesta al Direttore sanitario, ad un Dirigente d’azienda, ad un gestore di un super mercato e non si capisce perché non dovrebbe essere richiesta ad un Vescovo od un Parroco. Lasciando ai Prefetti, come prescrive l’Art. 9 del Decreto in oggetto, il controllo della realizzazione delle misure concordate e l’eventuale diritto d’intervenire in caso contrario. Sempre di più coscienti che ‘ce la faremo’, ma tutti insieme, solo uscendo da miopi prospettive di rivendicazione, supponenza o di protagonismo, camminando insieme (evitando d’invocare servili obbedienze ovvero incitare a rivoluzionarie disobbedienze), verso il vero bene comune che non potrà mai essere il bene di una parte, ma necessariamente del tutto.

Roma, Angelicum, 28 aprile 2020

P. Bruno, O. P.


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